Woody Harrelson

Tre manifesti a Ebbing, Missouri, di Martin McDonagh

Tre manifesti a Ebbing, Missouri di Martin McDonagh è un film complesso e intenso, uno spaccato straordinario di ottimismo in un contesto tristemente comune. Al centro della vicenda c’è la Mildred Hayes di Frances McDormand, che dà ancora una volta prova di essere una grandissima interprete del cinema contemporaneo. In Tre manifesti, l’attrice-feticcio dei fratelli Cohen ha lo spazio per esplodere in un ruolo importante, non solo per minutaggio e protagonismo, ma per il grande messaggio che le è affidato.

Mildred è una madre alle prese col lutto per la figlia adolescente, scomparsa nel peggiore dei modi. Nel dolore e nella rabbia, Mildred non aspira ad altra consolazione se non la giustizia: per questo motivo, ulteriormente ferita dalla negligenza della polizia locale, affitta tre grandi manifesti pubblicitari fuori città su cui scrive a caratteri cubitali tre frasi, due domande, un nome. “Violentata mentre moriva”, “Ancora nessun arresto?”, “Come mai, sceriffo Willoughby?”.

Il nome su cui Mildred punta il dito è quello dello sceriffo Bill Willoughby (Woody Harrelson), un punto di riferimento per la comunità locale, amato dai colleghi e dai cittadini e circondato da una famiglia pressoché perfetta. Attorno ai due personaggi si polarizzano due parti di mondo, gli emarginati e le vittime di soprusi al fianco di Mildred, i difensori dello status quo in prima linea per difendere la reputazione dello sceriffo. Immediatamente McDonagh istruisce lo spettatore con la prima grande lezione del film: pur nell’aperto conflitto, non ci sono buoni e cattivi, ma la scelta individuale nello schierarsi con la causa che si ritiene più giusta.

Tre manifesti debutta al cinema in un momento storico in cui le questioni di genere sono tornate in primo piano nel dibattito internazionale; nella Hollywood anti-Weinstein, la corsa agli Oscar non poteva che valorizzare un film efficace nel parlare al grande pubblico del coraggio femminile e di come la voce delle vittime possa e debba avere risonanza. Oltre ad Angela – la ragazza orrendamente uccisa – anche Mildred è vittima di violenza, i cui autori non sono omicidi amorfi e senza nome, ma i suoi concittadini e il padre dei suoi figli. Piuttosto che scoperchiare il vaso di Pandora delle storture del sistema americano, si preferisce un progressivo isolamento e linciaggio della protagonista, un’omertosa difesa della classe dominante e della sua intoccabilità. Ebbene, Hollywood nell’ultimo anno ha invertito la rotta, arrivando a ostracizzare in maniera più o meno definitiva i molestatori, qualunque sia la loro posizione. Per questo motivo Tre manifesti a Ebbing, Missouri scrive la storia ideale dell’America dell’ultimo anno: quella in cui non si ha più paura a denunciare, in cui donne e uomini mettono da parte le loro differenze per cercare una possibile soluzione.

Tutto questo, Martin McDonagh ce lo racconta con una scrittura personale, libera da ogni retorica e da ogni forzatura: il tono ironico dei dialoghi, contrapposti al dramma della storia, non vuole giocare con l’orrore – come fa Tarantino, a cui qualcuno ha voluto accostare il regista – ma sottolinearne la quotidianità. McDonagh propone al pubblico un racconto in medias res, che non scaturisce dalla tragedia, ma dalla risoluzione della protagonista e che si risolve nella sua possibile redenzione; che sia per solidarietà, amore o senso di giustizia nessuno (o quasi) dei personaggi di Tre manifesti a Ebbing, Missouri resta per tutto il film uguale a sé stesso: il cambiamento non solo è possibile, ma è l’unica strada per trovare la pace.

Candidato come miglior film agli Oscar 2018 e nominato anche per la sua sceneggiatura originale, Tre manifesti ha il merito di raccontare in maniera memorabile un tema spinoso, troppe volte impoverito e sminuito dall’accanimento e dal sensazionalismo mediatico. Ottima la performance di Sam Rockwell, premiato dall’Academy con una nomination come Miglior Attore non protagonista. Un film difficile, splendidamente risolto dalla scrittura e dall’interpretazione e dall’onestà intellettuale del suo autore.

 

Now you see me 2, di Jon M. Chu

«Mi sentite, Cavalieri? Avrete presto quello che vi spetta, ma nel modo che non vi aspettate!».

Un anno dopo aver ingannato l’FBI e aver guadagnato l’adulazione del pubblico con i loro spettacoli di magia in stile Robin Hood, I Quattro Cavalieri ritornano a calcare le scene con una nuova performance, che ha come obiettivo primario rendere pubbliche le pratiche non etiche di un magnate della tecnologia. Ma qualcosa non va per il verso giusto. Qualcuno si intromette e manda all’aria i loro piani svelando alcuni loro segreti. Lo stesso Dylan Rhodes [Mark Ruffalo] viene braccato dall’FBI e costretto a separarsi dagli altri. Atlas [Jesse Eisenberg], Merritt [Woody Harrelson], Jack [Dave Franco] e Lula [Lizzy Caplan] si ritrovano in un batter d’occhio in Cina, a Macau, come se avessero usato il teletrasporto. L’uomo che si cela dietro la loro fuga fallita e il viaggio inaspettato non è altro che Walter Mabry [Daniel Radcliffe], un altro prodigio della tecnologia, narcisista e psicopatico, che vuole costringere i Cavalieri a mettere in atto una rapina quasi impossibile: rubare un chip che permette di decriptare qualsiasi codice di accesso, rendendo disponibile qualsiasi tipo di informazione con lo scopo di condizionare i mercati e diventare, di fatto, al pari di una divinità in Terra. La loro unica speranza è quella di assecondare lo psicopatico ed effettuare un colpo quasi impossibile tentando di rovesciare in qualche modo la loro situazione, al fine di ripulire il loro nome e svelare contemporaneamente la vera mente che si nasconde dietro tutto questo. Chi sarà costui? E come si comporterà l’Occhio in questa situazione? Isolati e controllati a vista anche da Chase, il gemello di Merritt, i Cavalieri dovranno imparare ad agire come un unico corpo, se vorranno cavarsela, ma dovranno fare i conti con paure, ambizioni, tormenti e propositi di vendetta.

«Il più grande potere che un mago ha è nel suo pugno vuoto».

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Produttori e regista si prendono un gran rischio a cimentarsi nel sequel di un film di così grande successo come è stato il Now you see me di Louis Leterrier nel 2013. Eppure rimane il dubbio su quale dei due sia il migliore e la domanda, in realtà, diventa: si è aperto un meraviglioso ciclo di film, che possa attraversare le generazioni come ha fatto la saga di 007? Probabilmente sì. Specialmente se la collaudata struttura del format rimane inalterata, in bilico tra la action-comedy e lo spy-thriller.

Lo scrittore Ed Solomon, che ha contribuito alla scrittura del primo film, ha collaborato alla nuova storia con Peter Chiarelli riuscendo a catturare lo spirito dell’originale, ad incorporare più illusionismo, intrigo e azione e ad inserire il tutto in un contesto internazionale, partendo dall’inedito presupposto di far cadere i Cavalieri vittime di un trucco magico che li lascia senza vie d’uscita. Un rovesciamento continuo di ruoli rende la sceneggiatura abbastanza ricca di sorprese anche per gli spettatori più esperti. Il resto del fascino è a vantaggio dell’illusione, intesa come arte magica e come patto di sospensione dell’incredulità, principio basilare dell’arte cinematografica. Un parallelismo che ricorda alla lontana il The Prestige di Nolan, senza averne, ovviamente, quella struttura perfetta da meccanismo da orologio svizzero.

Sullo schermo si susseguono numeri di micromagia, mentalismo, cartomagia, prestidigitazione, ipnosi, escapologia, fachirismo, perfino grandi illusioni e si ha la vivida sensazione di essere in presenza di un vero grande spettacolo di illusionismo. «È importante che il pubblico non pensi che li stiamo ingannando – afferma Chu – perché non è così. Facciamo magia sullo schermo così come la si vede, senza tagli».

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«Non ci si rende conto – spiega lo sceneggiatore Ed Solomon, – di quanto duro lavoro richieda creare qualcosa che sembri apparentemente agevole. Non sto parlando dei trucchi da illusionista, che siano piccoli, medi o grandi. Mi riferisco alla creazione dell’atmosfera magica in tutto il film, in modo che sembri tutto un unico grande trucco. Abbiamo cercato di creare la suspense dell’incredulità che nasce quando si guarda uno spettacolo di magia».

La collaborazione, anche nelle fasi di stesura del copione, di un artista del calibro di David Copperfield, anche co-produttore, e di altri suoi colleghi come Keith Barry è stata sotto questo aspetto fondamentale e i risultati si vedono. Gli attori hanno partecipato a un corso intensivo di illusionismo per affinare la loro destrezza nel far scomparire gli oggetti. Soprattutto hanno fatto molto esercizio per diventare esperti di cartomagia per una delle scene più emblematiche di Now you see me 2. Mark Ruffalo ha persino imparato a sputare il fuoco e il maestro illusionista di Woody Harrelson asserisce che «se decidesse di smettere di recitare per dedicarsi a tempo pieno all’ipnosi, dovremmo preoccuparci tutti, davvero».

Sarà stato un lavoro duro anche per Daniel Radcliffe passare dalle magie da piccolo wizard al manipolare oggetti come un vero magician, senza trucchi e inganni da green screen! La parte dell’inetto psicopatico sempre una spanna indietro agli altri, per quanto si possa dannare l’anima, sembra gli riesca naturale. Non si distingue e non caratterizza il suo personaggio in maniera memorabile e questo continua a far parlare i suoi detrattori che lo vedono ancora indissolubilmente legato al maghetto di Hogwarts. L’auspicio è che venga anche per lui un mentore che lo faccia strisciare nella neve, nel fango e nel sangue per scappare da critici voraci quanto orsi!

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Arthur Tressler: «L’inferno, a confronto, sarà un soggiorno alle terme».
Walter Mabry: «Mi avevi già convinto ad “inferno”!»

Tra morti inscenate e resurrezioni a sorpresa, lo spettatore può godere di una stupenda partita a scacchi, farcita di bei dialoghi, mai scontati e mai inutili. Da genio della tecnologia qual è, il personaggio di Radcliffe mette la scienza, la sua amata scienza, contro la magia dei paladini della giustizia, in una guerra che in realtà è tecnologia vs scienza, in quanto l’illusionismo altro non è se non un insieme di trucchi che sfruttano proprio la fisica, la meccanica, la chimica, l’idraulica, l’ottica e, non da ultima, la psicologia. Il trionfo delle scienze su palcoscenico, la vera “rivincita dei nerds”, se vogliamo.

Interessante è poi il mistero della carta dei tarocchi che appare nel momento del trucco fallito ad inizio film. Sappiamo da Now you see me che Atlas ha gli Amanti, Merritt l’Eremita, Jack la Morte e Lula la Papessa, eredità della Henley Reeves del primo film. In questo film appare una carta in mano a Dylan quando vengono i Cavalieri subiscono l’iniziale disfatta. È il Matto, ovvero la follia, la sregolatezza, ma rappresenta anche lo zero, il caos che origina il tutto, la tabula rasa che azzera e permette di ripartire per un nuovo viaggio. Cosa rappresenterà per loro questa carta? Chi si cela dietro di essa?

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Now you see me 2 è ineccepibile anche sotto l’aspetto tecnico. L’impiego della ARRI Alexa XT permette una fotografia satura, dai toni alti, che non perde definizione nei colori scuri e nei neri e che gestisce alla perfezione i bagliori e le luci della ribalta, nonché la credibilità della scena della manipolazione delle gocce d’acqua: probabilmente anche un inglese penserà che la pioggia di Londra non è mai stata così bella. La colonna sonora, curata ancora dall’ormai ambitissimo Brian Tyler [John Rambo, Iron Man 3, Truth], è una musica briosa, frizzante e adrenalinica, che mescola sapientemente il classico con il contemporaneo, come, del resto, la regia di Jon M. Chu.