Venere in pelliccia, di Valter Malosti

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Dio l’ha punito consegnandolo
Nei panni di una donna.
Giuditta, XVI, 7

Così si apre Venere in pelliccia, romanzo erotico scritto nel 1870 da Leopold von Sacher-Masoch, romanziere austriaco conosciuto più per aver dato il nome alla parafilia che lo psichiatra Richard von Krafft-Ebing gli attribuì che per le sue doti letterarie. Eppure, quest’ opera in parte autobiografica ha meritato la consacrazione teatrale e cinematografica grazie all’adattamento teatrale di David Ives, da cui è tratta la pièce in scena fino al 5 febbraio all’Ambra Jovinelli, e al film diretto da Roman Polański, con una superba Emmanuelle Seigner a vestire i panni di Wanda von Dunajew, protagonista del romanzo.

Sul celebre palco romano è, invece, una Sabrina Impacciatore in splendida forma a dare corpo e voce alla Wanda ivesiana: in un corpo marmoreo come la statua della Venere di Sacher-Masoch, si cela la Wanda plebea, scaltra amica delle donne, che lentamente quanto abilmente ordisce la sua vendetta nei riguardi di un ambiguo e borghesissimo regista, che per scelta ha lo stesso nome dell’interprete nonché, a sua volta, regista della pièce: Valter Malosti. Quando Wanda entra in scena, seminuda, con un’accentuata cadenza romanesca e un contegno tutt’altro che raffinato, il pubblico ride di gusto: non sa che quella “macchietta” goffa e assai inopportuna incarna l’algida Wanda von Dunajew, nonché la Venere granitica e crudele che condanna il nobile Severin von Kusiemski alle pene d’amore. Saltellando abilmente da un personaggio all’altro con sospetta bravura e padronanza dei mezzi, la squattrinata attrice interroga astutamente il regista sui rapporti tra sesso, autorità e sottomissione evocati dal suo testo, suscitando nello spettatore un’implicita riflessione sui ruoli di genere, pur senza alcuna volontà di moralizzare, condannare, deridere. Nasce così un coltissimo dialogo sul potere e sul piacere, a tratti esilarante e dissacrante, a tratti poetico ed esaltante ma mai osceno, mai banale.

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Si muove agilmente nello spazio scenico scarno ed essenziale una versatile Sabrina Impacciatore e un convincente Valter Malosti, i quali escono ed entrano continuamente nei personaggi che interpretano con abilità ed efficacia, grazie anche al progetto sonoro di G.U.P. Alcaro, che sottolinea in modo suggestivo a quale realtà (o finzione) si sta assistendo. L’atmosfera di un teatro lussuoso come l’Ambra Jovinelli, poi, contribuisce a rendere Venere in Pelliccia uno spettacolo indovinato, adatto sia a un pubblico colto che a un parterre più scanzonato e spensierato.

<<Sì>>, soggiunse, <<noi restiamo fedeli finché amiamo, ma voi esigete dalla donna fedeltà senza amore e che si doni senza il piacere. Chi si mostra dunque crudele, la donna o l’uomo? Per voi, gente del Nord, l’amore è una cosa fin troppo seria. Parlate di doveri, e non si dovrebbe trattare che di piaceri>>.

[…] <<Grazie della lezione di classicismo>>, replicai, <<ma non si può negare che l’uomo e la donna – nel vostro mondo sereno e pieno di sole come nelle nostre nebbie – siano fondamentalmente nemici. Se per un breve istante l’amore li unisce e ne fa un essere abitato da un solo pensiero, ciò accade perché possa in seguito meglio dividerli. Lei dovrebbe saperlo meglio di me: chi non sa sottomettere l’altro alla propria legge avvertirà ben presto su di sé un piede pronto a schiacciarlo>>.

<<E normalmente, è il piede della donna>>, esclamò Venere con impertinente ironia. <<Lei lo sa meglio di me>>.

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