berlinale67

Berlinale67 – Sage Femme, di Martin Provost

Due donne diverse in tutto eccetto che nella loro solitudine si incontrano al tramonto della vita e da questo momento in poi ricominciano a vivere, insieme. Claire (Catherine Frot) è un’ostetrica e una madre single, che ha dedicato tutta la sua vita al lavoro, senza lasciare spazio per nessun altro, neanche per sé stessa. Béatrice (Catherine Deneuve)è il suo opposto, una femme fatale che nonostante il passare degli anni conserva ancora una sensualità prorompente, ed è ancora affamata dei piaceri della vita. L’unica cosa che le accomuna è l’amore per uomo che non c’è più: il padre di Claire, che un tempo aveva amato Béatrice.

sage-femme._8._c_photo.michael.crotto

A distanza di quasi trent’anni la donna ripiomba come un fulmine sulla vita tranquilla di Claire e la sconvolge, riportando alla luce un dolore sopito da tempo e l’odio verso una donna che era scappata via spezzando il cuore a suo padre. Béatrice è tornata perché ha scoperto di essere molto malata, e prima di morire vuole, per quanto possibile, riparare ai suoi errori di gioventù, cercando il perdono di Claire. Ed è a questo punto che accade l’impensabile, l’odio si trasforma prima in compassione poi in complicità e quelli che sembravano due universi inconciliabili iniziano a fondersi l’uno nell’altro.

sage-femme._2._c_photo.michael.crotto
Il mistero dell’universo femminile torna sotto l’obiettivo di Martin Provost, che in questo film riesce più che mai ad accarezzare tutte le sfumature emotive di un rapporto impossibile, eppure necessario per l’evoluzione delle due donne. Perché è proprio compensandosi che riescono a cambiare, rinunciando ad un pezzetto di solitudine e di indipendenza per la condivisione di un momento giocoso, di un bicchiere di vino, di un abbraccio affettuoso. Ed è proprio questo il picco più alto del film di Provost, quando si abbandonano l’una tra le braccia dell’altra per sentire ancora una volta la sensazione rassicurante di avere accanto qualcuno su cui poter contare. Prima e dopo la morte.

Berlinale 67 – Álex de la Iglesia presenta El bar

Il maestro della commedia del terrore spagnola, Álex de la Iglesia, dopo Las Brujas de Zugarramurdi torna con un nuovo film, El Bar, interamente ambientato in un bar di Madrid e presentato fuori concorso alla 67′ edizione della Berlinale. Il regista ha presentato il film con alcuni membri del cast, dalla bellissima Blanca Suárez, a Mario Casas, Secun de la Rosa e Jaime Ordóñez.

IMG_6753
“La vita è un inferno – ha esordito Álex de la Iglesia – e pertanto il modo migliore per rappresentarla è la commedia del terrore. La mia visione del mondo è terrificante, per me è un enorme un labirinto da cui cercare una via d’uscita, ed è proprio questo che ho cercato di mostrare nel mio film. Siamo in un momento storico in cui emotivamente ci sentiamo intrappolati in una situazione senza via d’uscita, e per questo El bar potrebbe essere ambientato in qualunque città, perché appartiene a un mondo dell’immaginazione internazionale,  in cui abbiamo la consapevolezza che qualcuno può decidere quando dovremo morire, e può accadere in qualunque momento. L’unica via d’uscita potrebbe essere la religione e per questo è molto presente nel film, incarnata da Jaime Ordóñez che interpreta Israel.

“Alex aveva un’idea molto precisa del film che voleva fare – ha detto Jaime Ordóñez – e il mio personaggio doveva essere colui che annunciava l’apocalisse incombente. E lui era l’unico a non avere paura, perché non aveva niente da perdere rispetto agli altri. Israel non è spaventato e come fa il classico pazzo dice sempre ciò che pensa, perché non teme il giudizio degli altri, che invece non fanno altro che fingere. “Nel film i personaggi si trovano in una situazione limite in cui devono sopravvivere – ha aggiunto Blanca Suárez Sopravvivenza e reazione in una situazione limite. Se ti confronti con la morte emergono i tuoi istinti più reconditi, si vede chi sei veramente e nel film non è mai dato sapersi se a sopravvivere alla fine sono i personaggi più buoni o semplicemente quelli più bravi a manipolare gli altri. Alla fine la morale del film è che siamo tutti peccatori e nessuno può salvarci”.

IMG_6762

“I personaggi sono uno diverso dall’altro – ha affermato Secun de la Rosa – quasi archetipi, c’è chi vince, chi perde, chi è in grado di combattere e chi di manipolare le persone. E uno si chiede costantemente ci sopravviverà, se il più intelligente, il può buono, il più bravo a combattere, ma la cosa più interessante è che nel corso del film le relazioni tra i personaggi cambiano e gradualmente viene fuori il loro lato peggiore. Il mio personaggio ad esempio è un buono, ma alla fine si trasforma in una bestia.

IMG_6752

Mario Casas ha concluso: “Alex ci ha messi alla prova fisicamente e psicologicamente, siamo stati sul set sette settimane senza mai rilassarci, e un po’ come i personaggi del film abbiamo imparato a conoscerci e a superare i nostri limiti. El bar è stata una vera e propria scuola di sopravvivenza”.

IMG_6760