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Sette minuti dopo la mezzanotte, di Juan Antonio Bayona

Sette minuti dopo la mezzanotte [A monster calls nella versione originale] è un film intenso, dalla grande potenza emotiva, che coinvolge e intenerisce, mentre sullo schermo una realtà diegetica avversa al giovane protagonista si alterna con una dimensione parallela in cui si perde il confine fra sogno e realtà.

Si tratta della trasposizione del romanzo ideato da Siobhan Dowd e portato a termine da Patrick Ness, vincitore nel 2012 della Carnegie Medal per la letteratura (dall’infanzia allo young adult) e della Kate Greenaway Medal per le illustrazioni di Jim Kay, un disegnatore fortemente voluto anche da J. K. Rowling per illustrare i suoi Harry Potter.

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Un doppio nodo lega la trama del libro con la genesi del romanzo: la malattia, che non ha permesso all’autrice di concluderlo, e la ferma volontà di chi le era accanto di non scrivere la parola “fine” su un progetto che ne avrebbe perpetuato la memoria. Un legame che non è sfuggito al regista Juan Antonio Bayona che è stato da subito fortemente attratto dal romanzo, trovando nelle sue pagine argomenti che aveva già esplorato in The Orphanage e The Impossible, «personaggi che si trovano in una situazione particolarmente intensa, su cui incombe la morte». Una morte che non è intesa come fine di un percorso, ma come inizio di una nuova avventura ad un livello ulteriore, concetto che rimanda all’origine ancestrale della fiaba come rito d’iniziazione delle comunità primitive e che è una delle prerogative del film.

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«Questa storia inizia come tante altre storie con un bambino troppo grande per essere un bambino e troppo piccolo per essere un uomo… e con un incubo».
Conor O’Malley [Lewis MacDougall] ha 12 anni e l’adolescenza, si sa, è un periodo cruciale della vita. Per lui ancora più difficile, costretto com’è a crescere troppo in fretta per la separazione dei genitori e la malattia visibilmente degenerativa della mamma [Felicity Jones]. In questo contesto già avvilente si aggiunge la beffarda mano del destino che mette il ragazzo nel mirino dei bulli della scuola. Diviso fra il sopportare e il reagire, ma conscio di dover risolvere i propri problemi in qualche modo, Conor rimane suggestionato dalla visione di King Kong, la versione originale del 1933, e così immagina che il tasso secolare che domina la collina di fronte casa loro, posto proprio al centro del cimitero, prenda vita e si trasformi in un gigante dall’anima di fuoco. Sette minuti dopo la mezzanotte, proprio mentre Conor finisce di disegnarlo, il mostro entra nella sua vita per stravolgerla completamente: gli racconterà tre storie e ne pretenderà un’altra da lui, una verità che custodisce gelosamente dietro un muro di paure e rabbia repressa.

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In Sette minuti dopo la mezzanotte ritroviamo tutta la poetica di Bayona: i legami familiari indissolubili e il soprannaturale che separa e unisce, il disegno artistico, che ha la funzione di tramite fra il mondo reale e l’immaginario, sia che si tratti degli schizzi su carta di Conor sia che si tratti dei racconti del mostro, acquerelli animati, la tecnica attraverso la quale il ragazzo esprime la sua fantasia, i suoi desideri, le sue angosce, come accade nei sogni, con rimossi, proiezioni astratte di paure concrete, ricostruzioni interiori di stimoli esterni e precognizioni.

Il sogno, altro elemento poetico molto caro al cinema di Bayona, svolge l’antica funzione di guida e mediazione con il mondo esterno, strettamente legato ai miti arcaici, a situazioni riconducibili a fiabe e leggende popolari. Entrambi, sogni e miti, sono il risultato di una complessa elaborazione e deformazione delle fantasie di desiderio: più individuali nei sogni, collettive in quei “sogni” ancestrali delle comunità primitive che hanno il nome di miti. Quella forma primitiva di pensiero è stata sempre presente nell’inconscio umano ed è chiamata archetipo. Presenti indistintamente in tutte le civiltà, e culture del nostro pianeta, sono gli archetipi a costituire la base del mito e di tutti i suoi derivati. Queste sono gli elementi essenziali che compongono il simbolo che assieme ad altre forme ed altri simboli vanno a formare ciò a cui le società hanno dato il nome di mito.

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Dal mito deriva poi la fiaba, una sintesi di archetipi sociali, psicologici e onirici, nonché chiave di lettura del nostro argomento principe, Sette minuti dopo la mezzanotte. Il film, ambientato in una Manchester non troppo caratterizzata, resa anche più gotica di quello che in realtà è, presenta molte caratteristiche in comune con la struttura del mito e, soprattutto, della fiaba: nell’inverosimiglianza dei fatti e nell’indeterminazione spaziotemporale, dove il “qui e ora” diventa un modello universale di “qualsiasi luogo e tempo”, si muovono personaggi classici come un principe, una matrigna-strega, accanto a figure meno frequenti, come lo speziale e il pastore ecclesiastico, ma tutti contribuiscono a veicolare un messaggio che possa fornire a Conor gli elementi per poter reagire agli eventi che lo hanno colpito. La madre buona [Felicity Jones, la Jyn Erso di Rogue One: A Star Wars Story e candidata agli Oscar® 2018 come protagonista] non è necessariamente da contrapporre alla nonna che appare fredda e distante [Sigourney Weaver, la Ellen Ripley di Alien e candidata agli Oscar® 2018 come non protagonista]; se suo padre [Toby Kebbell; Ben Hur, Warcraft – L’inizio] si è rifatto una vita in America non necessariamente è un dramma; la fede cristiana e la fiducia nella medicina non per forza comportano un ritorno concreto secondo i propri desideri.

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«Le storie vere spesso sono fregature».

Non come un golem difensore degli oppressi (mosso anch’esso dalla verità), non come un jinn che debba esaudire i desideri del suo padrone, l’antropomorfo Tasso secolare, quale saggio maestro di vita, guida Conor in un viaggio dell’eroe all’insegna del coraggio, della fede e della verità, virtù cavalleresche che sembravano ormai appannaggio dei soli supereroi, ultimamente. In molti hanno riscontrato una certa somiglianza fra il Groot de I guardiani della galassia e il Mostro di Bayona animato in animatronic, motion capture e CGI, ma in pochi avranno notato le assonanze con i Giganti mitologici, i Titani, tra cui troviamo Prometeo che dona la conoscenza all’uomo e Cronos che governa il tempo. Dall’alto della sua figura di fantastico mentore, il Mostro – una creatura alta 12 metri al quale è Liam Neeson [Taken, Silence], con il motion capture, a dar vita e voce – mette in guardia il ragazzo («stai usando male il tempo che ti è stato concesso») e gli fornisce, attraverso le fiabe e i loro ambigui personaggi, la giusta chiave di lettura per interpretare la propria coscienza e, in una sola parola, crescere.

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«La maggior parte della gente è una via di mezzo».

Le origini della fiaba si perdono nella notte dei tempi. Teorie su teorie, quali quella mitica, indianista, antroposofica, poligenetica, ancora non hanno trovato un bandolo comune della matassa. Quello che è certo è che la tradizione orale, attraverso riduzioni e semplificazioni di antichi miti, stratificati nel tempo e rielaborati in età successive, ha operato una contaminazione di figure tratte dalla fantasia popolare in modo da poter rendere i racconti fiabeschi uno strumento educativo prezioso per tutti, in barba all’opinione pubblica che ritiene che le fiabe siano pensate ad uso e consumo esclusivamente del divertimento dei bambini.

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Sette minuti dopo la mezzanotte è un film che possiamo definire, senza incorrere in obiezioni, fiabesco, che è stato realizzato combinando l’estrema lucidità della sceneggiatura di Patrick Ness con la fervida fantasia scenografica di J. A Bayona, mantenendo una coerenza estetica con il resto della filmografia grazie ad una fidata crew di tecnici: il direttore della fotografia Óscar Faura [The Orphanage, The Impossible], lo scenografo Eugenio Caballero [Oscar® per Il labirinto del fauno], i montatori Bernat Vilaplana [Crimson Peak, Penny Dreadful e premio Goya per The Impossible e Il labirinto del fauno] e Jaume Martì [Penny Dreadful e Gaudì Award per Transsiberian], il costumista Steven Noble [La teoria del tutto, Una, Trainspotting 2], il compositore Fernando Velásquez [The Orphanage, The Impossible]. Oltre alla già citata animazione mista, il regista impreziosisce le riprese con virtuosismi tecnici che in pochi ormai utilizzano: raccordi sull’oggetto e inquadrature reverse che meravigliano come le acrobazie di un abile circense.

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Magari potrebbe sembrare prematuro parlare di nomination agli Oscar® 2018 ma questa avventura gotica in bilico fra sogno e realtà finora è l’opera migliore sotto ogni aspetto. Non a caso ha vinto 9 premi Goya su 12 ai quali era candidato!

Un aneddoto e una curiosità a margine, per concludere.
L’aneddoto: il regista ha scelto di non dare al suo giovane protagonista la pagina del copione che descriveva l’ultimissima scena di Sette minuti dopo la mezzanotte perché voleva che MacDougall avesse la reazione più naturale possibile e autentica possibile. Il risultato è stato davvero notevole.
La curiosità è, invece, per gli spettatori attenti: non rilassatevi durante l’epilogo e fate caso sulla parete alle fotografie raffiguranti il nonno di Conor.

«Chi ci dice che il sogno non sia tutto il resto?».

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Warcraft – L’inizio, di Duncan Jones

«Nessuno può contrastare le tenebre da solo».

Warcraft è una saga fantasy creata dalla Blizzard Entertainment e iniziata con la pubblicazione del primo videogioco strategico in tempo reale Warcraft: Orcs & Humans, datato 1993. Progettato nella speranza di venderne un milione di copie, il gioco è arrivato a 15 milioni ed è diventato un prodotto talmente trionfale che è diventato un tie-in di proporzioni colossali: oltre ad una serie potenzialmente infinita di videogiochi, sono stati prodotti romanzi, manga, fumetti nonché giochi da tavolo e di carte e ogni sorta di materiale collezionabile. Inoltre, come accaduto per altre saghe di successo planetario quali Star Wars o i supereroi Marvel e DC, l’ambientazione creata per l’occasione assurge ad essere chiamata Warcraft Universe.

Un universo fantasy popolato da creature di ispirazione tolkieniana – incantatori, re giusti e saggi, stregoni malvagi, orchi, elfi, nani – ma anche da mostri tratti direttamente dai bestiari popolari – golem di argilla, grifoni, warg, maelstrom, entità arcane che vivono in torri altissime, chimere, ippogrifi, titani – frutti di antiche leggende, contaminate dalle culture delle varie etnie affrontate in battaglia nel corso di millenni e dalla creatività dei bardi, che giravano il mondo ognuno con le proprie chansons de geste di personaggi stratificati dall’incontrollabile tradizione orale. Storie avvincenti che ricordano in parte anche il ciclo bretone, con un re giusto e lungimirante come Artù, un asso della guerra come Lancillotto e un mago potente al servizio della corona come Merlino. Il protagonista, Lothar, oltre ad una combattività senza pari, può vantare una forte componente strategica, un’evidente facilità di ragionamento e sangue freddo in situazioni complicate e veloci, che lo accomunano all’Ulisse omerico. Forse, un giorno, le generazioni future studieranno come esempi di epica cavalleresca, alla stregua de «le donne, i cavallier, l’arme, gli amori, le cortesie, l’audaci imprese» di cui narra Ludovico Ariosto.

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Warcraft – L’inizio, il film di Duncan Jones [Moon, Souce code], figlio di David Bowie, è l’adattamento cinematografico di Warcraft: Orcs & Humans, videogioco del 1994, il primo della saga di Warcraft. Le vicende trattate coincidono con il periodo della Prima Guerra e si svilupperanno nel bel mezzo della linea temporale del Warcraft Universe che è in continua evoluzione verso una direzione qualsiasi, basti pensare che il 30 agosto ci sarà la fila per il nuovo gioco World of Warcraft: Legion. Ma torniamo al film.

Draenor, il pianeta degli orchi, sta morendo e lo stregone Gul’dan [Daniel Wu], unisce i clan degli orchi in una temibile Orda, con la promessa di guidarli in un nuovo mondo, popolato da umani: Azeroth. Attraverso un portale magico che mette in comunicazione mondi paralleli, una brigata di guerrieri scelti segue Gul’dan in avanscoperta, per catturare quanti più nemici possibile e nutrire così il Vil, la magia che attiva il portale, una magia che Gul’dan padroneggia per produrre vita ed energia a suo piacimento, ma che, allo stesso tempo esige un orrendo tributo: altre vite, rendendo malvagio il postulato del chimico Lavoiser, alla base della legge della conservazione della massa: “nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma”.

Il pacifico regno di Azeroth è costretto, quindi, ad affrontare gli invasori. Alle prime notizie di attacchi, sir Anduin Lothar [Travis Fimmel], comandante militare del regno di Roccavento, un giovane e curioso mago di nome Khadgar [Ben Schnetzer] e il re di Roccavento Llane Wrynn [Dominic Cooper] consultano Medivh [Ben Foster], il leggendario Guardiano, ma la situazione diventa presto molto più intricata di una semplice battaglia tra imboscate, strategie, tradimenti, indagini parallele, incantesimi e personaggi che tramano nell’ombra.

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Memorabili i personaggi di Durotan [Toby Kebbell], Draka [Anna Galvin] e Orgrim Martelfato [Rob Kazinsky], orchi del Clan dei Lupi Bianchi, unici oppositori interni alla tirannia di Gul’dan. Si aggregheranno all’Alleanza che difende Azeroth o soccomberanno al potere del Vil?

Nella schiera degli orchi si fa notare, poi, Paula Patton, bellissima nei panni della mezza orchessa Garona, la “maledetta”, destinata a non essere accettata perfettamente né dall’una né dall’altra parte, come tutti i mezzosangue… o forse ci sarà un giorno del tenero con il valoroso Lothar? E poi, chi sopravvivrà? A chi apparterrà il pianeta alla fine delle guerre?

«Dalla luce viene la tenebra e dalla tenebra viene la luce».

123 giorni di riprese, interamente girato con le Arri Alexa XT Plus con tanto di lenti Leica Summilux-C ed esportato in formato ARRIRAW da 3.4K per una lavorazione ottimale degli effetti speciali e del 3D, Warcraft è distribuito nelle sale con un’aspect ratio spettacolare secondo il rapporto 2.35 : 1. Cosa vuol dire? Se volete apprezzare appieno degli stupefacenti effetti visivi della celebre Industrial Light & Magic, presenti in più di mille inquadrature, con motion capture e integrazioni digitali fornite dalla stessa Blizzard Entertainment, scegliete un cinema dotato di occhialetti con sensore e non quelli usa e getta!

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Mentre l’eroe di turno vola su un grifone una meravigliosa CGI si sbizzarrisce nel mostrarci un panorama che sembra uscito dalle opere di Fenghua Zhong. Un territorio simile a quello ameno della Contea degli hobbit con architetture cittadine e regali che richiamano l’immaginario medievale di Camelot o, se si vuole, gli scenari del tanto amato Game of thrones, con rimandi palesi alle culture orientali: il luogo del concilio dei sei maghi, il Kirin Tor, assomiglia tantissimo nel nome e nelle sembianze alla Karin Tower del manga Dragonball e, conoscendo il disegnatore Akira Toriyama, non può che trattarsi un rimando ad una qualche leggenda storpiata per l’occasione in un farsesco Karin-Tō” (カリン塔), un gioco di parole per indicare dei popolari dolci al sesamo chiamati Karintō (花林糖).

La pellicola, inizialmente programmata per il 18 dicembre 2015, è stata posticipata per evitare la sovrapposizione di due universi con l’attesissima uscita di Star Wars: Il risveglio della Forza. Verrà distribuita nei cinema statunitensi a partire dal 10 giugno 2016, mentre, in Italia è nelle sale già dal 1 giugno 2016.

«Per Azeroth! Per l’Alleanza!».

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