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Tobiko, di Maurizia Rubino

Tobiko è il primo graphic novel di Maurizia Rubino: un esordio sorprendentemente tenero e profondo

L’unica colpa di Tobiko e Pop è quella di essere nati nel posto sbagliato al momento sbagliato. Sulla terra vige uno scenario apocalittico dove tutti gli esseri viventi sono scomparsi, annientandosi a vicenda a partire proprio dalla specie umana che si è dimenticata del ruolo dell’amore anteponendo alle ragioni del cuore quelle del potere. Solo due fazioni sono sopravvissute alla devastazione: quella degli orsi polari, a cui Pop appartiene, e quella dei corvi, che hanno allevato come una di loro la piccola Tobiko, l’unica umana rimasta sulla terra. In mezzo a questa lotta all’ultimo sangue per la supremazia, Tobiko e Pop vivono la loro storia di amicizia, iniziata per caso ed evolutasi in un legame in grado di abbattere anche le spesse e insormontabili barriere dell’odio. E qui si interrompe la mia trattazione della trama: così come nelle migliori storie che lasciano il lettore con il naso immerso nelle pagine, anche Tobiko avrà mille soprese da svelare tavola dopo tavola. Maurizia Rubino esordisce nel mondo dei graphic novel e lo fa col botto, entrando a pieno titolo nell’Olimpo delle nuove generazioni di disegnatori sensibili e profondi ma al tempo stesso consapevoli della necessità di trovare forme espressive nuove e, perché no, contaminate. Quello che apparentemente sembra un graphic novel destinato ai lettori più giovani, in realtà calza perfettamente a pennello con il titolo di libro per tutti.

Tobiko

I bambini e i giovani adolescenti capiranno il valore della tenerezza, in Tobiko in forte contrasto con la desolazione circostante, nelle relazioni che si vivono ogni giorno. Questi lettori, bombardati da mille stimoli materiali e consumistici nell’era della comunicazione digitale, apriranno nella loro quotidianità una parentesi di delicatezza e levità in grado di educarli al rispetto del prossimo.

Gli adulti, dal canto loro, scopriranno una veste inedita dell’amore, sentimento che diventa il detonatore di un’arma di distruzione (usata subdolamente dal partito dei corvi in grado di superare in crudeltà i predecessori umani). Leggendo di Pop e Tobiko si apriranno nuove porte sui recessi reconditi del sentimento più complicato e affascinante del mondo. Procedendo attraverso vignette pennellate di azzurro viola e nero, colori così contrastanti tra loro che in nessun altro modo si sarebbe potuto rappresentare un mondo di sentimenti così forti, la piuma che accompagna tutta la storia (la novella Icaro Tobiko incontra il dolce Pop proprio durante la ricerca di piume per costruire le ali in grado di farla volare accanto ai suoi amici corvi) diventa la metafora dell’amore: un sentimento così delicato e prezioso che si può tenere tra le mani per evitare di farlo andare via solo senza stringere troppo, per non correre il rischio di spezzarlo. Tobiko

Tobiko rappresenta perfettamente il modo nuovo di raccontare storie nel mondo dei fumetti italiani contemporanei, mischiando suggestioni orientali (il tratto ricorda molto quello dei supercute manga kawaii) alle contrastate forze interiori che caratterizzano le storie di matrice occidentali. Una lettura che mi sento di consigliare a chiunque: non è mai abbastanza profonda l’educazione alla bellezza.

Little Sister di Hirokazu Koreeda

«Riconoscere la bellezza nelle cose rende felici».

Magnifico. Una sublime poesia recitata con sentimento e girata con garbo.

Le tre sorelle Kohda vivono insieme nella grande casa lasciata loro dai nonni nella città di Kamakura, abituate a cavarsela da sole senza l’aiuto dei genitori, divorziati ormai da oltre 15 anni. Al funerale del padre, Sachi, Yoshino e Chika conoscono la sorellastra adolescente, Suzu. Immediatamente conquistate dalla ragazza, ormai completamente orfana, la invitano a vivere con loro. Con inaspettato entusiasmo, per le quattro sorelle, inizia una nuova vita fatta di scoperte, di sentimenti spezzati e legami indissolubili.

Una storia emozionante che mette in scena una vita quotidiana semplice, in cui non accade chissà cosa ma che è parallelamente fatta di avvenimenti e sentimenti complessi, eternamente unici come unica è la nostra esistenza, attraverso i quali si forma, nel tempo, una famiglia moderna legata ai ricordi e alla tradizione ma profondamente distaccata dal passato, ben lontano dai silenzi di un maestro come Yasujiro Ozu. Quello portato al cinema da Little sister, è un Giappone moderno, che cerca la sua personale strada tra la nostalgia e l’eternità del passato e il bisogno di apertura verso l’emancipazione sentimentale d’oltreoceano. Anche la sceneggiatura è in splendido equilibrio tra la modalità comunicativa occidentale, fatta di numerosi dialoghi, e gli immancabili silenzi introspettivi, tipici del cinema tradizionale giapponese.

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Presentato all’edizione 2015 del Festival di Cannes, Little Sister, il nuovo film di Hirokazu Koreeda è la trasposizione live action del manga capolavoro di Akimi Yoshida, Umimachi Diary, ovvero “Diario di una città di mare”, vincitore del prestigioso Premio Taisho nel 2013, dell’Excellence Prize al Japan Media Arts Festival Award del 2007 e classificatosi terzo alla 12^ e secondo alla 13^ edizione dell’ambitissimo Premio Osamu Tezuka. Lo shoujo, fiore all’occhiello della famosissima casa editrice Shogakukan è, in realtà, un crossover che fa riferimento ad un precedente manga della stessa autrice, Lover’s kiss, miniserie in 2 volumi del 1995, anch’esso trasposto in un film live action nel 2003.

Akimi Yoshida è una mangaka dal tratto semplice ma dalle storie decisamente complesse, come si può riscontrare visionando Banana Fish, l’unica sua opera per ora edita in Italia, e il regista Koreeda sembra aver voluto mantenere questo contrasto tra la complessità dei sentimenti e la semplicità visiva attraverso una fotografia semplice, che rimane ad una distanza oggettiva, che non eccede in virtuosismi, che lascia che a narrare siano i gesti dei personaggi. A generare le emozioni sono, infatti, le azioni, semplici, ma non per questo meno significative di tante parole, e sottolineate stilisticamente da lente e millimetriche carrellate, che coinvolgono il pubblico nelle vicende, senza dover ricorrere ad uso eccessivo di piani ravvicinati, una tecnica di captatio benevolentiae tanto abusata, purtroppo, dal nostro cinema.

I personaggi, anche quelli minori, sono ben caratterizzati, contribuendo a costruire un’opera corale che racconta la quotidianità del Giappone contemporaneo con uno stile che ricorda in parte le atmosfere di Maison Ikkoku, il manga capolavoro di Rumiko Takahashi ma molto di più lo stile narrativo delle opere di Mitsuru Adachi, come risulta evidente confrontando le protagoniste di Little sister con le quattro sorelle di Cross game, diverse in tutto e per tutto ma unite a formare un fortunato nucleo familiare, simboleggiato allegoricamente da un quadrifoglio, emblema del loro locale.

Nel film di Koreeda, inoltre, è presente una notevole ricorrenza del numero 4. Oltre alle stagioni che si alternano, si notano i quattro elementi a cui sono riconducibili le quattro sorelle e i loro caratteri differenti, secondo uno schema che vede Sachi, la primogenita, 29nne, seria, affidabile, severa, vivere distaccata, nell’aria, reprimendo le emozioni e chiudendosi al dialogo con “gli adulti che portano via l’infanzia”; al fuoco, invece, può essere ricondotta la passionale ed esuberante 22nne Yoshino, che cambia lavoro tanto spesso quanto beve per dimenticare le delusioni amorose; Chika, 19nne estremamente spensierata, rappresenta l’anima candida della famiglia ed è delle quattro quella che rende più evidente il suo legame con l’acqua attraverso l’hobby per la pesca e un desiderio di contatto con le onde in riva al mare; infine, l’outsider, Suzu, 13nne timida e inibita perché cresciuta troppo in fretta a causa della morte della madre e della successiva lunga malattia del padre, può essere collegata alla terra, l’elemento che racchiude in sé i tre regni, vegetale, animale e minerale, in cui la ragazza si trova perfettamente a suo agio, l’elemento aggregativo per eccellenza, il vero fulcro del legame familiare, proprio lei, sola al mondo e in teoria priva di elementi di contatto con il resto del «dormitorio femminile».

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«I personaggi principali del film sono quattro sorelle, è vero, ma non c’è solo questo!», conferma il regista, «È anche la storia di una città e dello scorrere del tempo, giorno dopo giorno. Come l’alternarsi delle maree sulle sue spiagge, la città resta essenzialmente immutabile, nonostante il flusso di arrivi e partenze dei suoi abitanti: come Suzu, per esempio, la signora Ninomiya o il fidanzato di Sachi».

Personaggi, bisogna aggiungere, che rimangono ben impressi nel cuore insieme alla bellissima partitura musicale di Yoko Kanno, puntuale ma mai prevaricante, una musica funzionale, che commenta e sottolinea i sentimenti e rafforza le emozioni senza prendere mai il sopravvento.

Musica, regia, fotografia, dialoghi, tutto risulta misurato, ben dosato, preciso e discreto come è naturale che sia nella cultura nipponica, di cui logicamente il film è generosamente permeato. Immancabile il passaggio sotto i sakura in fiore, ormai un cliché universale, ma è certo inusuale trovare un vasto campionario di elementi, peraltro poco traducibili, in una pellicola di prospettive internazionali: per citarne uno, forse il più significativo per il film, “shoganai” significa accettare che qualcosa sia fuori dal nostro controllo e, perciò, andare avanti senza sensi di colpa e rimpianti.

Il film dà ampio spazio alla natura: Kamakura non è molto lontana da Tokyo, ma in Little sister non troverete inquadrature di grattaceli, né enormi caseggiati, piuttosto case di legno, stradine di provincia dove gli abitanti si spostano a piedi o al massimo in bicicletta. ma anche alla ritualità del mangiare, della cucina e degli alcolici. In questo caso è la ricetta di famiglia del liquore di prugne a svolgere la funzione di elemento di aggregazione e, allo stesso tempo di elemento comico antitradizionalista: se una donna che beve sorprende il giapponese, figuriamoci una donna ubriaca!

Significativa, a questo proposito, anche la massiccia presenza di personaggi femminili, altra scelta il cui anticonformismo s’intuisce da una massima, dell’anziana zia, che sembra uscire direttamente dalla penna di Oscar Wilde: «Il valore di una donna è pari alla quantità dei suoi segreti», sentenza smentita dall’evidente armonia degli opposti presente in questa speciale e bellissima famiglia face-to-face.

I temi della morte, dell’infanzia rubata, della ritualità dei gesti, della ricerca della felicità, del ricordo come elemento principe che fa superare momenti difficili e che fa elevare lo spirito, che consola e permette quasi di librarsi in aria privi di pesi come Peter Pan, sono tutti temi ricorrenti nella filmografia di Hirokazu Koreeda, che gli è valsa 37 premi su 47 nomination ricevute, trattati, però, in quest’opera, con estrema delicatezza, quasi a voler lasciare intimità ai personaggi. Come se fosse la trasposizione cinematografica di un insegnamento buddhista o di un precetto zen, Little sister fornisce la sua personale riflessione sul significato dell’esistenza che scorre complessa ma inesorabilmente leggiadra tra doveri familiari, crisi lavorative, tradimenti e abbandoni, rimpianti e rabbia, senza dimenticare che, però, è l’amore il vero motore della vita e che bisogna avere il coraggio di operare delle scelte, perché «se nessun dio vuole farlo, dobbiamo pensarci noi!».

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Cast d’eccellenza e specializzato in live action movie di manga e anime e doppiaggio. Sachi è Haruka Ayase (Rookies, Guardian of the Spirit, Hotaru no Hikari), Yoshino è Masami Nagasawa (Touch, Rough, I am a Hero, The Crossing di John Woo), Suzu è interpretata da Suzu Hirose (Crows Explode, Chihayafuru, Anger, Your lie in April) e Kaho (Gamera the brave, Otomen, Puzzle) interpreta Chika. Kirin Kiki, apprezzata protagonista de Le ricette della signora Toku, ha qui un ruolo secondario, ma è una certezza per il regista che l’ha voluta ancora nel suo prossimo family drama Umi yori mo mada fukaku (letteralmente “ancora più profondo del mare”), il quarto insieme, dopo I wish, Like father like son e questo splendido Little sister.

Nelle sale italiane dal 1° gennaio 2016 Little Sister, vincitore del San Sebastián International Film Festival, passa praticamente inosservato, scontrandosi con i classici appuntamenti nostrani delle festività natalizie. Si tratta, invece, di una storia toccante che racconta la vita, con sofisticato realismo e sottile poesia. Una film che affascina e tiene in sospeso lo spettatore dall’inizio alla fine.

Le anime sensibili e i veri romantici non possono di certo lasciarselo sfuggire!

Regali di Natale? – Suggerimento #3

Il regalo “perfetto” per gli inguaribili romantici che amano anche la risata è Maison Ikkoku Perfect Edition.

La trama è ormai famosa: Yusaku Godai, studente universitario che si trasferisce a Tokyo per laurearsi, va a vivere nella Maison Ikkoku gestita dalla bellissima e giovane vedova Kyoko Otonashi. Innamoratosi di lei al primo sguardo, il ragazzo avrà il suo bel da fare per conquistarla, tra rivali in amore e personaggi singolari, che lo coinvolgeranno in bizzarre vicende e scherzi infami.

I personaggi del manga cult di Rumiko Takahashi sono ben caratterizzati e molto comici e le gag sono spassosissime. La storia è leggera, romantica, avvincente e molto divertente! Con semplicità e dolcezza incanta fin dal primo numero.


La perfect edition, pubblicata da Star Comics, è suddivisa in 10 volumi di grande formato e caratterizzata da una stupenda copertina ruvida e illustrazioni a colori.
Non vi resta che acquistarlo o regalarlo per sapere se… l’amore farà breccia o la goliardia prenderà il sopravvento?

Festival di Roma 2014 – As the Gods Will, di Takashi Miike

Depresso e apatico come molti suoi coetanei, Shun Takawata è uno studente al secondo anno di liceo, che si ritrova troppo spesso a pensare sul ciglio livido del terrazzo della scuola alla distruzione del mondo come risoluzione di tutti i suoi problemi, in attesa di una nuova creazione  e di una nuova vita. Un giorno al suo ritorno in classe trova una bambola Daruma che troneggia sulla cattedra accanto al suo insegnante decapitato, e i suoi pensieri più oscuri diventano improvvisamente reali. La bambola con gli occhi sgranati esplode e fa a pezzi l’intera scolaresca ad eccezione di una manciata di studenti. Un massacro senza precedenti. I muri della scuola imbrattati di sangue e segnano l’inizio spettacolare di un gioco crudele a cui tutti i sopravvissuti sono obbligati a partecipare per salvarsi la vita. L’obiettivo finale è lasciare vivo solo il prescelto dagli dei, lo studente più coraggioso e intelligente di tutti , colui che è pronto a sacrificarsi per gli altri, ma anche ad accettare il volere di un’entità superiore spietata, che schiaccia innumerevoli ragazzi innocenti uno dopo l’altro per il puro piacere sadico di vedere il topo sbranato dal gatto, dopo averlo visto contorcersi nelle trappole più ingegnose.

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I mostri sanguinari si mostrano sotto forma delle creature più innocue della tradizione giapponese, che capovolgono il loro potere positivo e ben augurante in una furia omicida inarrestabile, se non con la fine del gioco. Come la Daruma, che si trasforma in una bombola-bomba e il gatto Maneki-Neko, che dà un caloroso benvenuto a tutti i ragazzi che indossano un costume da topo, mangiandoli uno dopo l’altro fino a che non si addormenta con la pancia piena nel bel mezzo della palestra della scuola. Gli animali dall’aspetto mansueto si avvicendano ai giochi tradizionali, animati e riprodotti su scala gigantesca, in un’arena surreale in cui sono tutti contro tutti e si sfidano a colpi di intelletto. Indovinelli, trabocchetti e ostacoli inimmaginabili catapultano Shun Takawata e i suoi sventurati compagni in un gioco suicida a metà tra un mastodontico videogioco e uno splatter spietato in cui la morte si presenta sotto le vesti più fantasiose.
Takashi Miike sfida ancora una volta la razionalità, facendo entrare veri esseri umani tra le pagine di un manga folle, più crudele della fantasia più macabra, ma allo stesso tempo talmente irrealistico da scatenare una risata liberatoria alla vista di ogni nuova creatura che irrompe sulla scena. Ma è proprio la combinazione paradossale tra l’apparenza innocua di questi teneri giochi e la brutalità di cui sono capaci a rendere quest’opera unica nel suo genere e sorprendente in ogni fotogramma, come una matrioska che nasconde una sorpresa più macabra ogni volta che si schiude e mostra il suo nuovo volto.