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It: Capitolo uno, di Andrés Muschietti

Feroce, crudele, macabro e violento nella misura richiesta dal pubblico, apprezzato in ogni suo aspetto formale, l’It: Capitolo uno di Andrés Muschietti si eleva a capolavoro indiscutibile del genere horror adolescenziale. Il Pennywise che Bill Skarsgård [Allegiant, Atomica bionda] si è cucito addosso, ammalia e terrorizza con i suoi occhi penetranti e taglienti, con le sue movenze scattose e una verve che fa quasi impallidire il generoso Tim Curry che da solo, letteralmente da solo, salvava la ormai dimenticabile produzione televisiva degli anni ‘90.

Il Male innominabile, nascosto nel profondo di ogni comunità, per quanto piccola, e nel profondo del subconscio di ogni essere umano, per quanto coraggioso, si manifesta principalmente nelle sembianze di un clown che indossa un costume dal design molto ricercato e studiato nei minimi particolari. Per riassumere in un unico capo d’abbigliamento tutte le generazioni in cui It ha portato a termine il suo bisogno di sangue, la costumista Janie Bryant ha ideato una tuta sagomata che include contemporaneamente reminescenze medievali, rinascimentali, elisabettiane e vittoriane, con tanto di plissettatura fortuny che contribuisce a rendere ancora più barocco, e quindi enigmatico, per anacronia, tutto l’insieme.

Una sorta di “lasciate che i bambini vengano a me”, ma con un epilogo contrario al messaggio evangelico-cristiano. Pennywise rappresenta il baratro della paura più profonda, il buio denso dove ogni cosa può perdersi per sempre, persino la più pura delle innocenze. Il Male nel suo stato più beffardo: orditore di inganni, come il Diavolo delle leggende popolari. Una creatura mutaforma che vive del dolore e delle sofferenze altrui e si nutre di sangue innocente, non prima di averlo annegato nella paura più soffocante.

«Galleggerai quaggiù! Tutti galleggiamo quaggiù! Sì! Galleggiamo!»

A sorprendere piacevolmente, se così si può dire anche in un horror, sono anche le molte trasformazioni di It, ben bilanciate tra citazioni letterali del romanzo e nuove idee che scavano nell’immaginario collettivo. L’essere senza forma che vive nelle acque nere e che, come l’acqua per mostrarsi in forma tangibile assume le sembianze di qualsiasi recipiente che possa scatenare sgomento, la bestia che sopravvive nei secoli dei secoli grazie ad un tacito tributo di carne fresca, fornito da vittime innocenti, non è che la naturale evoluzione di un archetipo che ha origine nella notte dei tempi: non c’è bisogno di scomodare trattati di antropologia per riconoscervi la paura allo stato puro, quella che i primi uomini esorcizzavano disegnando nelle grotte, protetti dal fuoco. È scritto nel nostro stesso DNA. Basta solo che ciascuno di noi ricordi. Stephen King ha solo dato voce a quello che abbiamo vissuto, per diretta esperienza, figurata o reale che sia, e che torna virtualmente negli incubi notturni, quando siamo più fragili e indifesi. O nel buio di una sala, come ha fatto egregiamente Muschietti.

L’opera più corposa di Stephen King (1986) è diventata negli anni il prototipo di tutta una sequenza di storie, nella sua stessa bibliografia come in quella di altri scrittori e sceneggiatori successivi. Da Stand by me a Cuori in Atlantide, se si vuole rimanere tra le pagine kinghiane, da I Goonies al più vicino, per ordine di tempo e per le sue molte affinità, Stranger things, tutti hanno raccolto spunti a piene mani, imparando la lezione che una ricetta perfetta è il risultato di una successione di ingredienti ben ponderati e pesati.


Un pizzico di Goonies, una bella dose di Stand by me, tanto Nightmare on Elm Street e, per finire, una spolverata quanto basta di Stranger things e la ricetta per il successo del nuovo It è pronta, basta infornare in una grande sala buia, ben climatizzata e dall’audio avvolgente e aspettare solo che la storia faccia il suo corso. E che storia! Una rivisitazione della fiaba gotico-grottesca tipica dei Grimm con tanto di utilizzo del sottotesto allegorico: sono tantissime le allusioni ai rituali d’iniziazione, alla perdita dell’innocenza, alla crudeltà amorale dell’infanzia, ai patti di sangue e ai tributi e sacrifici ad una divinità latente. Ma se sono una presenza costante nel romanzo, non lo sono così tanto nel film, per non appesantirne troppo la fruizione, probabilmente. Alla luce di questo, per quanto sia entusiasta di It: Capitolo uno, rimango dell’opinione che, per mettere ben in evidenza questi interessanti aspetti nascosti del romanzo, la forma perfetta sia una serializzazione di più ampio respiro. Netflix, pensaci tu!

«Prenderò tutti voi e mi nutrirò della vostra carne come mi nutro delle vostre paure!»

Resta scritto negli annali, comunque, che il più famoso romanzo di King ha finalmente avuto il degnissimo adattamento che meritava, con buona pace dei fan più integralisti. La Warner Bros, dopo ben due defezioni che avrebbero potuto minarne alle fondamenta la progettazione, ha coraggiosamente affidato il film ad un regista emergente ed è stata ripagata davvero a peso d’oro. Andrés Muschietti, argentino di chiare origini italiane, aveva diretto in precedenza solo un altro film: La Madre, un horror-thriller ben giudicato dalla critica internazionale, che ha come protagonista la Jessica Chastain che, quasi sicuramente, interpreterà la Beverly adulta in It: Capitolo due.


Dopo l’enorme successo ottenuto da It: Capitolo uno, per Muschietti si vocifera già di un nuovo ambizioso progetto da tramutare in oro: la trasposizione live-action di Robotech, la risposta datata 1985 agli anime giapponesi della Tatsunoko, di genere sci-fi war, che ha per protagonista un’intera fanteria di giganteschi robot. Nell’attesa, analizziamo quello che è a tutti gli effetti da considerare il nuovo horror campione d’incassi della storia del cinema.

I sette “Perdenti” [“Losers” in originale, come si può notare dalla scritta sul gesso di Eddie] hanno ottimamente interpretato i loro ruoli coinvolgendo non poco un target molto ampio di spettatori. Jaeden Lieberher [Midnight special, St. Vincent] è BILL DENBROUGH, che non ha mai superato la scomparsa del fratellino Georgie, finita nelle fauci di It. Il chiacchierone dalle mille voci RICHIE TOZIER è interpretato da Finn Wolfhard [protagonista di Stranger Things], Jeremy Ray Taylor [42, Geostorm] è l’architetto in erba BEN HANSCOM; Jack Grazer [Tales of Halloween, e prossimamente Shazam!] invece è il cagionevole EDDIE KASPBRAK. A completare il cast Wyatt Oleff [Guardiani dellae Galassia] alias STANLEY URIS, Chosen Jacobs, ossia MIKE HANLON, e Sophia Lillis, attrice estremamente fotogenica che sembra già di un altro pianeta mentre interpreta il personaggio di BEVERLY MARSH, e ha ancora solo 15 anni.

Al momento non è stata annunciata ufficialmente la lista completa degli attori chiamati ad interpretare i teenager ormai divenuti adulti in It: Capitolo due. Vi terremo aggiornati!

Maze runner – La rivelazione, di Wes Ball

Giunge a conclusione la saga cinematografica di uno dei romanzi young adult più seguiti della decade in corso. Ambientata in un futuro distopico, l’opera di James Dashner è stata adattata per il grande schermo dalla 20th Century Fox. Per mantenere una coerenza concettuale, fondamentale per la buona riuscita della trasposizione, il progetto è stato portato avanti sempre dal regista Wes Ball, che per il momento è conosciuto solo per i film della saga. Ma il soddisfacente lavoro di adattamento gli ha permesso di ricevere l’offerta di dirigere un’altra traduzione dalle pagine sfogliate alle immagini in movimento: il graphic novel Fall of Gods, un progetto crowfunding, lanciato nell’autunno del 2014 dallo studio creativo danese MOOD Visuals, che narra le gesta di un guerriero in un’epoca di guerre in cui gli dei della mitologia norrena sono scomparsi. Questo significa che non dirigerà la saga-prequel di Maze runner, già prenotata dalla Fox? è presto per dirlo.
Intanto, sicuramente, continuerà l’ormai inesorabile scempio dei titoli – per chi non lo sapesse Maze runner in origine è il titolo solo del primo volume – e di alcuni elementi importanti della trama, tradotti in maniera improbabile per venire incontro al grande pubblico: la malvagia società W.I.C.K.E.D. diventa la C.A.T.T.I.V.O. nell’edizione italiana dei romanzi, ma per fortuna il film e, con grande coraggio, il doppiaggio italiano adotta il termine W.C.K.D. molto più performante. Grazie!

Tornando al presente, Maze runner – La rivelazione [titolo originale The Death Cure] è, come dicevamo, il terzo ed ultimo capitolo della saga originaria, lungamente atteso dai fan. In seguito al grave incidente occorso al protagonista Dylan O’Brien proprio sul set, infatti, l’uscita del film, prevista dalla produzione per il 17 febbraio 2017, è stata posticipata inizialmente al 12 gennaio 2018 e poi posticipata ancora al 26 Gennaio negli Stati Uniti e al 1° Febbraio in Italia. Giusto riconoscere la tempra di O’Brien attore che, alla luce di quanto avvenuto, risulta uno dei pochissimi personaggi stoici di un panorama cinematografico infarcito di bellini sempre più pompati ma sempre meno avvezzi agli sforzi atletici e ai rischi del mestiere. Applausi!

Nel nuovo film, le vicende di Thomas [Dylan O’Brien, American assassin, Deepwater – Inferno sull’oceano] e delle altre cavie umane sopravvissute al “parco esperimenti” della WCKD riprendono da dove si erano interrotte in Maze runner – La fuga. Teresa [Kaya Scodelario, Moon, Pirati dei Caraibi- La vendetta di Salazar] aveva tradito i suoi “compagni” di viaggio per tornare al suo lavoro dietro ai microscopi e aveva permesso la cattura di molti immuni fra cui Minho [Ki Hong Lee, Wish upon, The public].

Proprio da una missione di salvataggio on the road parte il nuovo e ultimo capitolo della saga. Si tratta proprio della scena di assalto al convoglio blindato, stile western postapocalittico, che ha spedito O’Brien in ospedale e il regista, furbescamente, se la gioca subito, pronti via, tirando notevolmente su il tasso adrenalinico e spedendo subito il cuore dello spettatore al centro del nuovo gruppo di ribelli del Braccio Destro.

«Il tuo problema è che non riesci a lasciarti alle spalle qualcuno. Nemmeno quando dovresti».

Sacrificabili e cavie umane, con la loro rabbia e il loro desiderio chi di rivalsa, chi di vendetta e chi di salvezza, diventano il nuovo problema della WCKD. Thomas e gli altri Radurai intendono andare alla fonte del problema. La missione impossibile è penetrare all’interno dell’ultima città rimasta in piedi, sede dell’organizzazione, per liberare Minho e gli altri e ottenere le risposte alle loro legittime domande sull’epidemia, gli esperimenti e il presunto antidoto. Verità o bugie che siano, si celano dietro un nuovo dedalo di strade e palazzi (Blade Runner style ma senza pioggia o neve) protetti da mura altissime (stile World War Z). Nel frattempo gli Spaccati non stanno di certo a lustrarsi i denti con il nastro adesivo! E se Thomas e gli altri possono trovare una faglia nella difesa della città, quanto potranno metterci degli zombie affamati a fare altrettanto? A chi spetterà il dominio sulla Terra alla fine dei giochi?

«Vorrei potervi dire che I guai sono finiti»

L’allusione sottile alle mura di confine di Trump con il Messico ha il sapore nostalgico di quel cinema di fantascienza che sapeva narrare una storia e contemporaneamente celare un messaggio sotteso a smuovere le coscienze in maniera recondita, basti pensare a Essi vivono o La cosa di John Carpenter o ai morti viventi di Romero. Rispolverare questa vena moralistica non sarebbe male.

Dal punto di vista tecnico, invece, non si può passare sotto silenzio il lens flare sotto le luci al neon nelle scene di massa in città: se può essere visto come una scelta stilistica in un esterno giorno tenendo il riflesso della luce solare sulla lente sotto controllo, in questo specifico caso, il flare suona proprio come un errore non rilevato in fase di ripresa e camuffato in postproduzione. Male.

Tornando alla storia, il primo capitolo, Maze runner – Il labirinto, proponeva riflessioni filosofiche sul mito del buon selvaggio e sulla bestialità insita nella natura umana, sull’istinto di conservazione della specie anche a scapito di sacrifici umani, sulla crescita degli adolescenti, sulla concezione della vita come un gioco crudele, come un labirinto difficile da risolvere che rappresenta sia la fitta trama di relazioni sociali sia la complessità della mente umana. Ma tutto questo si perde, neanche gradualmente, nell’inutile seguito Maze runner – La fuga, che praticamente non fa che menare il can per l’aia, indisponendo e non poco lo spettatore.
Questa caduta nel vuoto, però, giova a Maze runner – La rivelazione che risulta ben al di sopra delle aspettative, pur presentando difetti strutturali e tecnici palesi: nessuna necessità narrativa impellente giustifica l’abnorme durata; la sceneggiatura risulta scontata per colpa dei soliti cliché che il genere young adult volenti o nolenti si porta con sé, croce e delizia a seconda dei gusti (La quinta onda, Hunger Games); a parte un paio di svolte inaspettate che, però, sono colpi bassi al patto di credibilità con lo spettatore (per non spoilerare bisogna accontentarsi di un “chi non muore si rivede”!), la trama si dipana risolvendo problemi in maniera troppo facile e banale o con stratagemmi visti e rivisti.

Maze runner – La rivelazione ha, però, il merito di concludere dignitosamente una storia che ha comunque interessato e tenuto con il fiato sospeso e che in fin dei conti si distacca dalla tipica adesione degli young adult all’archetipico nucleo narrativo del boy meets girl per privilegiare lo splendore dell’amicizia, corredata da valori come lealtà, spirito di sacrificio, altruismo, comunione d’intenti e condivisione di qualsiasi sorte. Una rivalutazione di valori che tentano di risollevare le sorti della trilogia senza, però, spingersi mai verso un’epicità formale, a cui le generazioni che rappresentano il target fondamentale sarebbero probabilmente allergiche.

Nel cast molti attori che i fan di Game of Thrones conoscono benissimo: Thomas Brodie-Sangster è Newt, Aidan Gillen interpreta il perfido Janson e la bellissima Nathalie Emmanuel, già presente nel secondo capitolo, è Harriet. A completare il cast altri volti noti: oltre al nuovo personaggio di Lawrence, che Walton Goggins interpreta magnificamente inossando uno stupendo make up che lo rende quasi irriconoscibile, i veterani Barry Pepper, Giancarlo Esposito, Patricia Clarkson e la starlet Rosa Salazar (Brenda), che sarà la protagonista di Alita – Angelo della battaglia, trasposizione del famosissimo manga diretta da Robert Rodriguez.

Truth – Il prezzo della verità, di James Vanderbilt

«La curiosità è tutto!»

Il giornalista è l’ultimo baluardo di quell’istituzione che permette al cittadino di ricevere un’informazione completa e veritiera circa il Bene comune.

Lo sa bene il regista James Vanderbilt, sceneggiatore del capolavoro Zodiac, il thriller investigativo incentrato sull’omonimo assassino seriale che sconvolse San Francisco tra gli anni sessanta e gli anni settanta: «Il cinema e il giornalismo rappresentano modi diversi di raccontare una storia. Sono cresciuto con Tutti gli uomini del presidente e ho scritto e co-prodotto Zodiac, e sono sempre stato molto attratto da quello che accade nelle redazioni giornalistiche. Quando esplode una nuova storia a 60 Minutes, come succede? Come nasce tutto?»

Lo sa benissimo il Premio Oscar® Robert Redford, che è stato il giovane cronista del Washington Post che indaga sullo scandalo Watergate nel classico senza tempo Tutti gli uomini del presidente, ma anche il fiducioso professore di scienze politiche di Leoni per agnelli, con la tenace giornalista Meryl Streep al suo fianco.

In Truth la duplice tenacia, femminile e giornalistica, è affidata alla professionale ed energica Cate Blanchett, emozionante anche in questo ruolo che non fornisce molto spazio ai sentimenti ben manifesti. L’attrice Premio Oscar® è sorprendente: il suo lavoro sul personaggio della giornalista Mary Mapes è volto a ricostruire non solo le macroazioni ma anche i piccoli atteggiamenti, le abitudini, i gesti che somigliano quasi a riflessi incondizionati di una donna estremamente preparata, intelligente e carismatica che ha vinto il Peabody Award proprio l’anno successivo ai fatti narrati dal film.

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Nel settembre 2004 un servizio della CBS alza un polverone in piena campagna per la rielezione ai danni di George W. Bush. Il reportage investigativo riporta a galla le manovre dell’allora Presidente per evitare la guerra in Vietnam ed ottenere invece un trattamento di favore durante l’intero periodo di servizio militare. Per una sorta di Effetto Farfalla, però, dal momento della messa in onda, chi ha avuto ruoli di rilievo nell’indagine giornalista sarà messo sotto pressione, a sua volta indagato e costretto a difendersi da accuse che vanno dalla diffamazione alla cospirazione contro il proprio Paese. Soprattutto la brillante Mary Mapes, produttrice del servizio incriminato, subisce un’inesorabile caccia alla «strega […] femminista e […] liberale».

Truth è tratto dal memoriale scritto dalla stessa Mapes, intitolato Truth and Duty: The Press, the President and the Privilege of Power e pubblicato da St. Martin’s Press nel 2015.

«Catturare il caos e l’intensità di una redazione televisiva sotto stress per l’avvicinarsi di una scadenza – racconta il regista – è stato come girare un film in un sottomarino: c’è un manipolo di persone tutte assieme in una scatola di sardine, e tutti parlano un loro linguaggio arcano, ma il film non si sofferma a spiegare punto per punto», anzi, tirando le somme si tratta di un film sofisticato e, inaspettatamente, avvincente. Lo spazio per i sentimenti fondamentali è davvero poco, ma quelli che riescono a farsi largo arrivano dritti al punto: il rapporto padre-figlia instauratosi tra la Mapes e il Dan Rather, anchorman storico di CBS News, interpretato da Redford, è un valore aggiunto alle caratteristiche decisamente drammatiche e coinvolgenti del film. Una pellicola che porta lo spettatore dietro le quinte delle redazioni giornalistiche, offrendo, allo stesso tempo, suspense, fasi investigative e di indagine giudiziaria.

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«Non volevo trattare nessun personaggio come cattivo – spiega Vanderbilt – Tutti cercano solo di fare il miglior lavoro possibile in un momento di crisi. Avevamo bisogno di grandi artisti in grado di conferire tutte queste nuance». Ed è proprio di grandi caratteristi che viene circondata Cate Blanchett: l’impassibile Delmot Mulroney, che si è completamente affrancato dalle vecchie commedie rosa; poi, il frizzante Topher Grace al quale viene affidato un monologo memorabile e significativo ma purtroppo troppo scollegato dal contesto; e, dulcis in fundo, il versatile Dennis Quaid, che costruisce un personaggio di ex-marine, membro del team investigativo della Mapes, ben caratterizzato dal punto di vista psicologico, con tanto di mimica e gergo militare, un lavoro raffinato, simile a quello prodotto su Doc Holliday e che gli valse gli elogi della critica in Wyatt Earp, speriamo possa non andar perduto nella traduzione italiana come l’acronimo FEA [“Fuck ‘em all”, tradotto nei sottotitoli come un ADT, cioè “Al diavolo tutti”.

Quello di James Vanderbilt che rivedremo presto con Independence Day – Rigenerazione, di prossima uscita, e con il già annunciato Independence Day 3, ancora senza un sottotitolo evocativo, è un cinema classico, senza virtuosismi né dal punto di vista dell’editing audio-video né per quanto riguarda la fotografia o la scelta del commento musicale, comunque affidate ad un veterano, Brian Tyler, che ha composto musiche per oltre 70 film [John Rambo, molte pellicole del Marvel Universe e i prossimi Now you see me 2 e Criminal, previsti entro la fine del 2016]

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«Non si può avere una repubblica costituzionale basata sui principi di libertà e democrazia senza la verità giornalistica, perché l’informazione per il cittadino è imperativa. Libertà e democrazia vengono spazzate via quando il giornalismo viene spazzato via. Ma il giornalismo non è stato spazzato via solamente nel caso della storia della leva di Bush nella Guardia Nazionale, di cui mi sono occupato. Viene spazzato via ogni singola sera, proprio ora, qui dietro l’angolo, nelle redazioni dei network nazionali e delle emittenti locali, in tutta l’America». – Dan Rather, USA agosto 2015, ma potrebbe benissimo essere un discorso universale. È tempo di meditare, come, del resto, Truth spinge a fare.

Tutte le notizie su Truth: Il prezzo della verità

È basato su uno dei più controversi casi della storia americana, Truth: Il prezzo della verità, il film d’esordio alla regia di James Vanderbilt, sceneggiatore e produttore, capace di alternare capolavori assoluti e coinvolgenti come Zodiac a blockbusters caciaroni ma di poco spessore come White house down o la nuova saga di Amazing Spider-man, per non parlare di horror flop come Al calar delle tenebre.

La mattina del 9 settembre 2004 la produttrice della CBS News Mary Mapes [Cate Blanchett] aveva tutte le ragioni per essere orgogliosa del suo servizio giornalistico. Ma alla fine di quella giornata, non solo lei, ma anche la CBS News e il famoso conduttore di “60 Minutes”, Dan Rather [Robert Redford], furono messi al centro di una bufera. Questo perché la sera precedente avevano trasmesso un reportage investigativo secondo il quale il Presidente George W. Bush aveva trascurato il suo dovere nel periodo in cui prestava servizio come pilota nella Guardia Nazionale dell’Aeronautica del Texas, dal 1968 al 1974, e che addirittura potesse avere dei legami comprovati con il movimento di Al-Qaeda. Una notizia basata su dei documenti che si sospettò fossero stati falsificati. In pochi giorni dallo scandalo, i registri del servizio militare di Bush smisero di essere al centro dell’attenzione dei media e del pubblico che, da quel momento in poi, puntarono il dito contro la trasmissione, la giornalista e il conduttore, rovinando carriere, reputazioni e vite private.

Truth: Il prezzo della verità è tratto dal memoriale scritto dalla stessa Mary Mapes e intitolato proprio “Truth and Duty: The Press, the President, and the Privilege of Power”, pubblicato da St. Martin’s Press solo nel 2015.

Un cast che, oltre al Premio Oscar® Robert Redford e alla due volte Premio Oscar® Cate Blanchett, può vantare anche la presenza di un altro grande interprete che ha raccolto finora troppo poco dalla sua carriera, Dennis Quaid.

Girato totalmente in Australia, per venire incontro alle esigenze della protagonista, con la ARRI Alexa e in formato widescreen con l’aspect ratio da 2,35 : 1. Spettacolare, nonostante la tematica drammatico-biografica.

Ecco il TRAILER italiano:

Good Kill – Il Trailer

GOOD KILL: ETHAN HAWKE PILOTA DI DRONI.

Arriva nelle sale italiane il 25 febbraio distribuito da Barter Entertainment l’ultimo film diretto da Andrew Niccol (Gattaca, In Time), con Ethan Hawke nel ruolo di protagonista. Good Kill racconta la storia del Maggiore Tommy Egan, un pilota di caccia con una lunga esperienza sul campo in Afghanistan e Iraq. La precisione, l’attenzione ma anche la paura e l’adrenalina caratterizzano le giornate dell’uomo che, ad un certo punto, si trova costretto a rivoluzionare le sue abitudini. Dagli aerei e dai cieli oltreoceano, Tommy si troverà a lavorare a pochi km di distanza dalla sua casa e dalla sua famiglia a Las Vegas, in un cubicolo comodo e accogliente, a pilotare aeromobili a pilotaggio remoto, più comunemente noti come droni.

Good Kill, espressione nota tra i militari americani, rappresenta a tutto tondo il tormento dell’uomo causato da uno strumento che lo aliena dalla realtà, che procura in lui dilemmi di tipo etico e morale, che uccide a distanza, freddamente e senza nessun tipo di percezione. Ambientato nel momento di picco della guerra fatta con i droni, il film porta alla luce un problema tristemente attuale attraverso la storia personale – tratta da una storia vera – di Tommy e della sua famiglia. Good Kill, dopo essere stato presentato alla scorsa Mostra d’arte cinematografica di Venezia, arriverà nelle sale italiane il prossimo giovedì 25 febbraio 2016 con Barter Entertainment.

Accanto a Ethan Hawke, nel cast anche Bruce Greenwood, January Jones, Zoë Kravitz e Jake Abel.

AVE, CESARE! – Il Trailer

Ave, Cesare! I fratelli Coen tornano al cinema con una commedia spettacolare!

I film-maker vincitori di quattro premi Oscar® Joel ed Ethan Coen (Non è un paese per vecchi, Il Grinta, Fargo), hanno scritto e diretto Ave, Cesare!, una commedia con un cast stellare ambientato negli ultimi anni dell’Età d’Oro di Hollywood. Interpretato da Josh Brolin, George Clooney, Ralph Fiennes, Tilda Swinton, Channing Tatum, Scarlett Johansson, Jonah Hill e Frances McDormand, Ave, Cesare! racconta le vicende che si susseguono in una sola giornata della vita di un fixer degli studios, chiamato a risolvere una marea di problemi.

La commedia è prodotta dai fratelli Coen con la loro Mike Zoss Productions, assieme ad Eric Fellner e Tim Bevan della Working Title Films.