Café Society, di Woody Allen

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“La vita è una commedia scritta da un sadico che fa il commediografo” afferma il giovane Bobby Dorfman mentre si crogiola nei dolori dell’amore non ricambiato per Vonnie, la bellissima segretaria di suo zio Phil, che gli apre le porte del paradiso della Hollywood anni ’30 ma non quelle del suo cuore. E come dargli torto si pensa alla sua fuga dal Bronx con una valigia piena di sogni e pochi spiccioli in tasca, alla sua faticosa scalata fino all’olimpo delle star e alla rovinosa caduta in una realtà in cui l’amore è negato a chi non ha soldi e potere. E non è un caso che Vonnie, l’eterea musa di Bobby, adori trascorrere il tempo con lui e non perda occasione per criticare la vacuità dell’alta società, ma alla prima occasione gli spezzi il cuore per fuggire tra le braccia di un uomo molto più grande di lei, sposato, ma incredibilmente potente.

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Bobby, incredibilmente deluso dall’esperienza ad Hollywood, torna a New York e inizia a lavorare per suo fratello Ben in un night club, che in breve tempo diventa uno dei club più frequentati dalla Cafè Society, facendo di lui uno degli scapoli più famosi della città. In quel vortice di cocktail e lustrini Bobby posa gli occhi su Veronica, una donna dalla bellezza abbagliante, perfetta in tutto, se non nel fatto che non è la sua Vonnie. Veronica è sinceramente innamorata di lui e Bobby non potrebbe desiderare di più per la sua vita, ma è proprio quando tutto sembra andare per il meglio che alla sua porta bussa il passato, e ciò che sembrava così chiaro e splendente si fa improvvisamente confuso e oscuro.

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Senza dubbio lo sceneggiatore supremo che presiede alle nostre vite possiede una dose notevole di sadismo, ma il maestro della commedia americana Woody Allen non è da meno, visto che ancora una volta si diverte a giocare con i sentimenti dei suoi personaggi, negando loro la felicità in ogni modo possibile. Che sia l’amore non ricambiato, l’amore tradito o quello destinato a rimanere un sogno, Allen non concede un attimo di respiro al povero Bobby Dorfman, che sembra ricalcare lo stesso regista nelle movenze impacciate e nell’incapacità di relazionarsi al sesso femminile senza incappare in qualche disastro. In questo il giovanissimo Jesse Eisenberg ha eseguito alla perfezione la lezione del maestro, sostenendo ad opera d’arte una scaletta di dialoghi serratissimi, intrisi di citazioni letterarie e altamente introspettivi. Dopo tutto quello che Woody Allen ama di più è proprio disquisire sulla natura umana, raccontare la vita per anatomizzare i sentimenti umani nel momento in cui l’uomo viene messo in crisi, e anche in Cafè Society non perde occasione per farlo, assumendo la posizione di Deus ex machina con la sua voce narrante che accompagna tutto lo svolgimento del film. Allen è dentro e fuori allo stesso tempo, vive in prima persona e osserva con lo sguardo del commediografo sadico i turbamenti d’amore di un giovane che potrebbe essere lui, ma anche tutti coloro che almeno una volta hanno sofferto per amore.

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Cafè Society per contenuto e forma non si discosta troppo dalle ultime opere del regista, che hanno incastonato il dramma umano in epoche passate esteticamente raffinate e intellettualmente brillanti, come la Francia degli anni ’20 di Midnight in Paris e Magic in the moonlight, fino ad arrivare alla vibrante rappresentazione degli anni ’30 in un’America in cui fiorivano i club e ogni notte i locali jazz, i teatri e i caffè si popolavano di celebrità in smoking e modelle in abito da sera a caccia di mariti facoltosi e di pettegolezzi piccanti. Questa era anche l’epoca in cui nasceva il giornalismo scandalistico, che avidamente immortalava i frequentatori della Cafè Society sullo sfondo di una città che non dormiva mai, e che di notte mostrava il suo volto più intrigante. Come loro anche Woody Allen ha ceduto al fascino di quest’epoca d’oro, che nel suo film ha riportato in vita in tutto il suo splendore attraverso la musica jazz, i costumi sontuosi e la fotografia morbida di Vittorio Storaro, che porta un velo di magia in ogni scena e accarezza i volti delle protagoniste femminili Kristen Stewart e Blake Lively regalando loro una bellezza quasi ultraterrena. E la ricerca di una bellezza abbagliante è il leitmotiv di Cafè Society, che non brilla per originalità ma sa crogiolarsi con grazia nel sogno di un’epoca che si può vivere solo nella fantasia, così come le storie d’amore immaginate, segrete o semplicemente irrealizzabili che non trovano spazio nella vita reale ma nei sogni continuano a vivere per sempre.

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