La ragazza dei miei sogni, di Saverio Di Biagio

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Nel 2005 un editore romano, la Gargoyle Books, decise di specializzarsi in letteratura horror e gotica, con incursioni nell’urban fantasy. Agli autori stranieri presenti sul catalogo hanno deciso, sin da subito, di affiancare anche qualche italiano. Tra questi uno dei primi, se non il primo, ad essere pubblicato è stato Francesco Dimitri con il suo romanzo La ragazza dei miei sogni. Il libro si è rivelato un ottimo successo ed ha creato un fandom che ha poi seguito l’autore nelle sue successive pubblicazioni, grazie soprattutto alla capacità dell’autore di raccontare l’universo di lettori che potremmo definire Goth-Nerd, un pubblico di appassionati di cultura pop, ma il cui maggiore interesse era rivolto al nero, al magico.

Dimitri presentava ai suoi lettori, in modo semplice, ma preciso, l’incanto. Quel mondo magico che tutti loro sognavano di vivere. Tutto questo però nel film non c’è. A Saverio Di Biagio, il regista, poco interessa raccontare l’incanto, che per lui non è altro che un pretesto originale per raccontare semplicemente una storia d’amore, che poi è l’aspetto meno interessante del romanzo.

Il totale disinteresse al tema del fantastico e al genere porta il film ad essere privo di quella forza visionaria che una trama del genere avrebbe richiesto. La magia viene presentata nella sua forma più banale e meno interessante, e i tanti simboli esoterici che ogni città italiana porta con sè vengono totalmente ignorati, appiattendo le figure magiche e carismatiche che davano forza alla storia.

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In particolare è il moderno stregone  coprotagonista (interpretato da Nicolas Vaporidis) a subire la sorte peggiore. Tutto di lui viene snaturato, a partire dal nome. Il nome di battaglia, Dagon, viene sostituito con il più comune Alessandro. Privo di qualsiasi forma carismatica, Alessandro, più che uno che ha squarciato il velo della realtà sembra uno che ha conosciuto la magia per sentito dire.

Ignorato e distrutto il versante magico, il resto del film si concentra su quello reale. Qui le cose migliorano, ma non al punto da salvare il film che, privo di una vera direzione, spesso annoia. Decisamente un occasione persa, sopratutto perché, per una volta, il cinema di genere italiano poteva contare su del materiale di partenza molto buono.

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