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Edward Mani di Forbice – Qualche anno dopo, di Kate Leth e Drew Rausch

Quando a maggio 2017 mi è stato chiesto di recensire questo fumetto la mia gioia è stata immensa. Spesso si suggerisce di non giudicare un libro dalla copertina. Ecco, mai consiglio fu più vero! Ho aspettato tanto perché a caldo il mio giudizio sarebbe stato affrettato, figlio naturale di un pregiudizio e di un’aspettativa tradita. Nel frattempo ho meditato, letto e indagato, non proprio in quest’ordine, diciamo in ordine sparso e ho maturato che nel caso di Edward Mani Di Forbice – Qualche anno dopo i lettori non possono che trovarsi un po’ spaesati per il contrasto grafico fra la copertina scelta dall’editore e i disegni sulle pagine che poi ci si trova a sfogliare. Per onestà di giudizio, bisogna ammettere che in fin dei conti si tratta di un prodotto che chiaramente vuole ottenere degli obiettivi economici specifici e, probabilmente, lo fa egregiamente, sfruttando quella gran voglia di sequel e remake che caratterizza l’attuale target, la fascia di mercato che detiene in questa fase storica il potere d’acquisto maggiore: la generazione x, che ha visto il film di Tim Burton e che vuol colmare il gap con i figli-screenager.

Negli Stati Uniti Edward Scissorhands è edito dalla IDW Publishing. Il successo delle nostalgiche sceneggiature della canadese Kate Leth e delle avanguardistiche illustrazioni dell’artista californiano Drew Rausch ha spinto la casa editrice californiana a creare una serie di 10 numeri, poi raccolta nella versione deluxe, oversized handcover che ha convinto la Nicola Pesce Editore a pubblicarne la traduzione: Edward Mani Di Forbice – Qualche anno dopo è un volume 14×21 cm, brossurato [cartonato in originale], con alette, di 128 pagine tutte a colori. Nessun problema fin qui, se non fosse per la copertina scelta: quella che è una variant cover celebrativa nell’originale, in Italia diventa la copertina ufficiale, creando, di fatto, un’incoerenza grafica molto forte con i disegni che poi caratterizzano l’intero fumetto.

Questo fumetto non è un pedissequo adattamento del film, che di per sé avrebbe avuto poco senso data la perfezione della pellicola. Si tratta invece di una storia nuova, poetica come l’originale, gotica e toccante”, tranquillizza e spiega la descrizione del prodotto sul sito ufficiale della casa editrice e questo è sufficiente per chiudere la questione e pensare a Edward Mani Di Forbice – Qualche anno dopo per quello che è: un fumetto per ragazzi che riprende il filo della narrazione di un film che ha fatto epoca per fornirgli una vita più che nuova, in un contesto contemporaneo… è un po’ la storia stessa di Edward, no?

Sono passati tanti anni, Kimberly, l’amore mai dimenticato di Edward, non c’è più, mentre Edward non è invecchiato di un giorno e continua ad essere l’emblema della solitudine, un mostro dal cuore tenero che il mondo non ha mai capito ma isolato nel suo maniero abbandonato, consolato dalla sola compagnia delle sue creazioni artistiche: figure scaturite dal taglio delle siepi o del ghiaccio. Talmente è solo che quando un giorno trova un altro androide, disattivato perché pericolosamente incompleto, Edward lo riattiva pensando di poterlo gestire… Intanto, Megan, una ragazza curiosa e piena di sentimenti positivi, in tutto e per tutto identica a nonna Kimberly, indaga sul passato della sua famiglia e quindi, in cerca di risposte, si avventura nel vecchio maniero dove vive Edward…

I disegni di Drew Rausch sono intriganti e freschi, accattivanti nei loro colori desaturati e segnati da contrasti decisi, sebbene troppo deformati comicamente per il gusto dei burtoniani. Manca una profondità dei neri, e qui ci sarebbe da sviluppare un discorso infinito su quanto il gotico sia legato necessariamente ad un ampio ventaglio di tonalità dark, in questo caso stranamente mancanti. Soprassediamo e torniamo invece ai pro, visto che il contro è ormai chiarissimo: sono bellissime le tavole di intermezzo fra i capitoli con gli a solo di Edward e le siepi tagliate ad arte sotto un cielo stellato; in appendice altre meravigliose tavole realizzate da vari artisti che hanno reinterpretato secondo la loro natura artistica i personaggi creati da Tim Burton; in più bozzetti, bibbia dei personaggi e dei luoghi e le prove di montaggio di alcune tra le pagine più interessanti.

Se lo si potesse considerare un fumetto a sé, ossia slegato completamente dal prodotto cinematografico originale, Edward Mani Di Forbice – Qualche anno dopo sarebbe passabile, per giunta piacevole per molti aspetti, un modo simpatico per avvicinare nuove generazioni ad uno dei personaggi più iconici del già particolare mondo gotico di Tim Burton.

Il risultato finale dipende quindi da quale sia il pubblico chiamato a comprarlo: se si tratta di un’operazione di mercato tipo “Bambini, venite a conoscere Edward” se ne può anche parlare e, seppur, con una certa riluttanza, accettare, ma se l’obiettivo è “Fan di Edward, guardate un po’ chi è tornato”, beh, non ci siamo proprio, perché a venir meno è lo spirito che era alla base di quel novello Frankenstein in cerca di amore.

Il giudizio molto personale e quindi non certo insindacabile del sottoscritto è che Edward Mani Di Forbice – Qualche anno dopo sia un poco riuscito connubio di tematiche horror e mood da commedia adolescenziale con un personaggio talmente fuori dalla sua “naturale” ambientazione gotica da sembrare la caricatura di sé stesso.

Peccato per le incongruenze, peccato per chi si aspettava un fumetto differente, maggiormente conformato all’originale cinematografico.

Sette minuti dopo la mezzanotte, di Juan Antonio Bayona

Sette minuti dopo la mezzanotte [A monster calls nella versione originale] è un film intenso, dalla grande potenza emotiva, che coinvolge e intenerisce, mentre sullo schermo una realtà diegetica avversa al giovane protagonista si alterna con una dimensione parallela in cui si perde il confine fra sogno e realtà.

Si tratta della trasposizione del romanzo ideato da Siobhan Dowd e portato a termine da Patrick Ness, vincitore nel 2012 della Carnegie Medal per la letteratura (dall’infanzia allo young adult) e della Kate Greenaway Medal per le illustrazioni di Jim Kay, un disegnatore fortemente voluto anche da J. K. Rowling per illustrare i suoi Harry Potter.

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Un doppio nodo lega la trama del libro con la genesi del romanzo: la malattia, che non ha permesso all’autrice di concluderlo, e la ferma volontà di chi le era accanto di non scrivere la parola “fine” su un progetto che ne avrebbe perpetuato la memoria. Un legame che non è sfuggito al regista Juan Antonio Bayona che è stato da subito fortemente attratto dal romanzo, trovando nelle sue pagine argomenti che aveva già esplorato in The Orphanage e The Impossible, «personaggi che si trovano in una situazione particolarmente intensa, su cui incombe la morte». Una morte che non è intesa come fine di un percorso, ma come inizio di una nuova avventura ad un livello ulteriore, concetto che rimanda all’origine ancestrale della fiaba come rito d’iniziazione delle comunità primitive e che è una delle prerogative del film.

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«Questa storia inizia come tante altre storie con un bambino troppo grande per essere un bambino e troppo piccolo per essere un uomo… e con un incubo».
Conor O’Malley [Lewis MacDougall] ha 12 anni e l’adolescenza, si sa, è un periodo cruciale della vita. Per lui ancora più difficile, costretto com’è a crescere troppo in fretta per la separazione dei genitori e la malattia visibilmente degenerativa della mamma [Felicity Jones]. In questo contesto già avvilente si aggiunge la beffarda mano del destino che mette il ragazzo nel mirino dei bulli della scuola. Diviso fra il sopportare e il reagire, ma conscio di dover risolvere i propri problemi in qualche modo, Conor rimane suggestionato dalla visione di King Kong, la versione originale del 1933, e così immagina che il tasso secolare che domina la collina di fronte casa loro, posto proprio al centro del cimitero, prenda vita e si trasformi in un gigante dall’anima di fuoco. Sette minuti dopo la mezzanotte, proprio mentre Conor finisce di disegnarlo, il mostro entra nella sua vita per stravolgerla completamente: gli racconterà tre storie e ne pretenderà un’altra da lui, una verità che custodisce gelosamente dietro un muro di paure e rabbia repressa.

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In Sette minuti dopo la mezzanotte ritroviamo tutta la poetica di Bayona: i legami familiari indissolubili e il soprannaturale che separa e unisce, il disegno artistico, che ha la funzione di tramite fra il mondo reale e l’immaginario, sia che si tratti degli schizzi su carta di Conor sia che si tratti dei racconti del mostro, acquerelli animati, la tecnica attraverso la quale il ragazzo esprime la sua fantasia, i suoi desideri, le sue angosce, come accade nei sogni, con rimossi, proiezioni astratte di paure concrete, ricostruzioni interiori di stimoli esterni e precognizioni.

Il sogno, altro elemento poetico molto caro al cinema di Bayona, svolge l’antica funzione di guida e mediazione con il mondo esterno, strettamente legato ai miti arcaici, a situazioni riconducibili a fiabe e leggende popolari. Entrambi, sogni e miti, sono il risultato di una complessa elaborazione e deformazione delle fantasie di desiderio: più individuali nei sogni, collettive in quei “sogni” ancestrali delle comunità primitive che hanno il nome di miti. Quella forma primitiva di pensiero è stata sempre presente nell’inconscio umano ed è chiamata archetipo. Presenti indistintamente in tutte le civiltà, e culture del nostro pianeta, sono gli archetipi a costituire la base del mito e di tutti i suoi derivati. Queste sono gli elementi essenziali che compongono il simbolo che assieme ad altre forme ed altri simboli vanno a formare ciò a cui le società hanno dato il nome di mito.

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Dal mito deriva poi la fiaba, una sintesi di archetipi sociali, psicologici e onirici, nonché chiave di lettura del nostro argomento principe, Sette minuti dopo la mezzanotte. Il film, ambientato in una Manchester non troppo caratterizzata, resa anche più gotica di quello che in realtà è, presenta molte caratteristiche in comune con la struttura del mito e, soprattutto, della fiaba: nell’inverosimiglianza dei fatti e nell’indeterminazione spaziotemporale, dove il “qui e ora” diventa un modello universale di “qualsiasi luogo e tempo”, si muovono personaggi classici come un principe, una matrigna-strega, accanto a figure meno frequenti, come lo speziale e il pastore ecclesiastico, ma tutti contribuiscono a veicolare un messaggio che possa fornire a Conor gli elementi per poter reagire agli eventi che lo hanno colpito. La madre buona [Felicity Jones, la Jyn Erso di Rogue One: A Star Wars Story e candidata agli Oscar® 2018 come protagonista] non è necessariamente da contrapporre alla nonna che appare fredda e distante [Sigourney Weaver, la Ellen Ripley di Alien e candidata agli Oscar® 2018 come non protagonista]; se suo padre [Toby Kebbell; Ben Hur, Warcraft – L’inizio] si è rifatto una vita in America non necessariamente è un dramma; la fede cristiana e la fiducia nella medicina non per forza comportano un ritorno concreto secondo i propri desideri.

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«Le storie vere spesso sono fregature».

Non come un golem difensore degli oppressi (mosso anch’esso dalla verità), non come un jinn che debba esaudire i desideri del suo padrone, l’antropomorfo Tasso secolare, quale saggio maestro di vita, guida Conor in un viaggio dell’eroe all’insegna del coraggio, della fede e della verità, virtù cavalleresche che sembravano ormai appannaggio dei soli supereroi, ultimamente. In molti hanno riscontrato una certa somiglianza fra il Groot de I guardiani della galassia e il Mostro di Bayona animato in animatronic, motion capture e CGI, ma in pochi avranno notato le assonanze con i Giganti mitologici, i Titani, tra cui troviamo Prometeo che dona la conoscenza all’uomo e Cronos che governa il tempo. Dall’alto della sua figura di fantastico mentore, il Mostro – una creatura alta 12 metri al quale è Liam Neeson [Taken, Silence], con il motion capture, a dar vita e voce – mette in guardia il ragazzo («stai usando male il tempo che ti è stato concesso») e gli fornisce, attraverso le fiabe e i loro ambigui personaggi, la giusta chiave di lettura per interpretare la propria coscienza e, in una sola parola, crescere.

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«La maggior parte della gente è una via di mezzo».

Le origini della fiaba si perdono nella notte dei tempi. Teorie su teorie, quali quella mitica, indianista, antroposofica, poligenetica, ancora non hanno trovato un bandolo comune della matassa. Quello che è certo è che la tradizione orale, attraverso riduzioni e semplificazioni di antichi miti, stratificati nel tempo e rielaborati in età successive, ha operato una contaminazione di figure tratte dalla fantasia popolare in modo da poter rendere i racconti fiabeschi uno strumento educativo prezioso per tutti, in barba all’opinione pubblica che ritiene che le fiabe siano pensate ad uso e consumo esclusivamente del divertimento dei bambini.

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Sette minuti dopo la mezzanotte è un film che possiamo definire, senza incorrere in obiezioni, fiabesco, che è stato realizzato combinando l’estrema lucidità della sceneggiatura di Patrick Ness con la fervida fantasia scenografica di J. A Bayona, mantenendo una coerenza estetica con il resto della filmografia grazie ad una fidata crew di tecnici: il direttore della fotografia Óscar Faura [The Orphanage, The Impossible], lo scenografo Eugenio Caballero [Oscar® per Il labirinto del fauno], i montatori Bernat Vilaplana [Crimson Peak, Penny Dreadful e premio Goya per The Impossible e Il labirinto del fauno] e Jaume Martì [Penny Dreadful e Gaudì Award per Transsiberian], il costumista Steven Noble [La teoria del tutto, Una, Trainspotting 2], il compositore Fernando Velásquez [The Orphanage, The Impossible]. Oltre alla già citata animazione mista, il regista impreziosisce le riprese con virtuosismi tecnici che in pochi ormai utilizzano: raccordi sull’oggetto e inquadrature reverse che meravigliano come le acrobazie di un abile circense.

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Magari potrebbe sembrare prematuro parlare di nomination agli Oscar® 2018 ma questa avventura gotica in bilico fra sogno e realtà finora è l’opera migliore sotto ogni aspetto. Non a caso ha vinto 9 premi Goya su 12 ai quali era candidato!

Un aneddoto e una curiosità a margine, per concludere.
L’aneddoto: il regista ha scelto di non dare al suo giovane protagonista la pagina del copione che descriveva l’ultimissima scena di Sette minuti dopo la mezzanotte perché voleva che MacDougall avesse la reazione più naturale possibile e autentica possibile. Il risultato è stato davvero notevole.
La curiosità è, invece, per gli spettatori attenti: non rilassatevi durante l’epilogo e fate caso sulla parete alle fotografie raffiguranti il nonno di Conor.

«Chi ci dice che il sogno non sia tutto il resto?».

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Mr Cobbler e la bottega magica, di Tom McCarthy

Mr Cobbler e la bottega magica è una commedia frizzante che affronta anche temi toccanti come la depressione, l’Alzheimer, l’abbandono e la solitudine.

«Hai mai desiderato essere qualcun altro?».

Dev’essere partita proprio da questa domanda la stesura di The Cobbler [lett. Il calzolaio], di Tom McCarthy, l’attore-regista del momento, vincitore con Il caso spotlight dei premi Oscar 2016 per la sceneggiatura originale e, a sorpresa, per la categoria miglior film.

«L’idea è nata da una mia riflessione sul significato del modo di dire to walk a mile in another man’s shoes – racconta McCarthy – è tutto partito dal negozio di un calzolaio. Steve Carter, il nostro scenografo, ha sapientemente creato un ambiente che sembra davvero esistere da 150 anni. Mentre stavamo girando, diverse persone sono entrate nel negozio per lasciare delle scarpe da riparare; questo è un segno della verosimiglianza del set. Steve è riuscito a creare uno spazio che sembra ordinario ma al contempo magico». Tutto il film si basa proprio su questo sottile equilibrio tra il reale e il fantastico.

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Max Simkin [Adam Sandler] è un calzolaio che conduce una vita banale, priva di stimoli, che lo ha reso insoddisfatto di sé e pieno di rancore nei confronti del padre, fuggito chissà dove per chissà quale motivo. Intrappolato com’è in una vita che sente non appartenergli ma alla quale sembra stato predestinato, porta avanti controvoglia la piccola bottega di famiglia, situata da quattro generazioni nel Lower East Side di Manhattan, uno dei quartieri più vivaci e ricchi di storia di tutta New York. Rientrato a casa si occupa della madre in stadio avanzato di Alzheimer.

Un giorno, però, ecco la svolta che mai si sarebbe aspettato: la macchina per la cucitura delle suole si rompe, proprio quando deve terminare una riparazione importante per uno dei malviventi locali [Cliff “Method Man” Smith, principalmente cantante ma già attore per 8 mile e Fast and Furious]. Vista la situazione, Max è costretto a rispolverarne una ormai obsoleta ma ancora funzionante, conservata nello scantinato come cimelio di famiglia. Indossare le scarpe da lui riparate con quella macchina gli permette di assumere le sembianze dei vari clienti. La vita di Max si fa subito più interessante, piena di prospettive. Per lui, che sente di non aver mai avuto nemmeno una possibilità di successo, che non ha mai potuto essere qualcuno, ora si presenta l’occasione di essere qualcun altro.

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Tra i clienti da impersonare Max trova tutto un campionario di tipi originali, compatibili con la sua misura di piede (un diffusissimo 10 e ½), che sfrutta per mangiare a sbafo, “togliersi qualche sassolino dalla scarpa” e vivere quelle pirandelliane avventure che la sua condizione sociale gli aveva sempre negato. Uno, nessuno e centomila personaggi diversi ai quali la costumista, Melissa Toth [Se mi lasci ti cancello, Adventureland, Synecdoche, New York], ha dovuto studiare un look per Adam Sandler che potesse aiutare lo spettatore a non perdersi nei continui e repentini cambi d’identità del protagonista che sembra vivere una nuova giovinezza, alla scoperta di un mondo diverso attraverso gli occhi degli altri.

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Ma , come insegna da sempre Stan Lee, «da grandi poteri derivano grandi responsabilità» e il rischio, per Max, di perdere di vista la propria vita per vivere quella di altri è dietro l’angolo.

Tra segreti e bugie, sorprese più o meno imprevedibili e divertenti gag, il calzolaio dovrà mettersi nei panni degli altri per trovare se stesso e il suo destino.

Pur innestando qua e là qualche spunto di riflessione, Mr Cobbler e la bottega magica rimane una fiaba per tutta la famiglia, una commedia che intreccia sapientemente il reale con il fantastico, condita da una musica di commento piacevole e frizzante, costantemente presente ed estremamente avvolgente: si tratta del klezmer, un genere musicale di tradizione ebraica, che riesce ad esprimere appieno ogni sfumatura emozionale della storia e che, soprattutto, fornisce la giusta voce al Lower East Side, che assurge così a vero e proprio personaggio.

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Ellen Barkin [Nei panni di una bionda, Brooklyn’s finest] si presenta gagliarda e tosta nel suo ruolo di villain solo apparentemente fuori dagli schemi, ma quanto mai attuale: una donna boss aggressiva che non si lascia impietosire da nulla. Poi il fondamentale cammeo di Dustin Hoffman lascia il punto esclamativo su questa simpatica fiaba edificante con spiccate vette di comicità e qualche tono dark, a creare il giusto effetto di contrasto. Un contrasto che ritroviamo nella bella interpretazione di Adam Sandler che provvede a rendere visivamente il cambiamento interiore del personaggio a lui affidato. Curioso scoprire come il cognome Sandler in ebraico significhi proprio “cobbler, calzolaio”, il destino nel nome per citare una pellicola di successo di Mira Nair. Anche I nomi dei genitori del protagonisti non sono scelti a caso, Sarah e Abraham, fanno riferimento ai capostipiti della popolazione ebraica secondo la Bibbia. Menzione a parte per la spalla Steve Buscemi, all’undicesimo lungometraggio al fianco di Sandler, dodicesimo se si considera l’uscita nel dicembre 2015, su Netflix, di The Ridiculous 6, commedia diretta da Frank Coraci e scritta da Tim Herlihy e dallo stesso Adam Sandler, che gioca in casa con la sua Happy Madison Productions. Snobbato dalla critica, come spesso capita ai progetti del comico del Saturday Night Live e al suo team di fedeli amici, ha avuto un notevole successo di pubblico che apprezza la freschezza e la spensieratezza che questo genere di commedie lasciano nell’animo una volta spenta la tv o essere usciti dal cinema.

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Ai fan di Sandler farà piacere cogliere una citazione in particolare: quando Max torna a casa dal lavoro e apre il frigorifero per prendere qualcosa da bere, ha l’opzione birra o Yoohoo. Il riferimento è a Big Daddy – Un papà speciale.

Animali fantastici e dove trovarli – Trailer

Dalla sua fucina delle magiche arti scrittorie, J. K. Rowling mette a segno un nuovo colpo: ANIMALI FANTASTICI E DOVE TROVARLI sarà il primo film di “almeno una trilogia”. L’adattamento cinematografico del libro di testo di magizoologia di Hogwarts è diretto da DAVID YATES, ormai un veterano delle trasposizioni della scrittrice britannica. La Rowling ha dichiarato che il film “non è né un prequel, né un sequel della serie di Harry Potter, ma un’estensione del mondo magico. La storia di Newt avrà inizio a New York, settant’anni prima di quella del giovane Harry”. Più corretto chiamarlo spin off, quindi. Ma cos’avrà in serbo il libro del destino per questo progetto “fantastico”? sarà all’altezza del successo di Harry Potter o subirà la classica maledizione dell’eterno secondo nel confronto con il primogenito? In attesa di conoscere ciò che ci aspetta il prossimo magico autunno, iniziamo a fare la conoscenza di Newt Scamander e di una stravagante New York incantata.

1926. New York. Il “magizoologo” Newt Scamander decide di fermarsi in città per riposarsi dopo un lungo viaggio in giro per il mondo alla ricerca di straordinarie creature magiche per studiarle e catalogarle sul suo libro. Ma un no-maj (il termine americano per babbano) di nome Jacob, una valigetta lasciata nel posto sbagliato e la fuga di alcuni degli Animali Fantastici di Newt causeranno non pochi problemi sia nel mondo magico che in quello babbano. Riuscirà Newt a risolvere la situazione?

TRAILER ufficiali in italiano:

Ad affiancare il protagonista EDDIE REDMAYNE, premio Oscar per La teoria del tutto, ci saranno KATHERINE WATERSTON, COLIN FARRELL, JON VOIGHT, RON PERLMAN, EZRA MILLER e SAMANTHA MORTON.

Sicura del successo forse grazie a qualche incantesimo a noi sconosciuto, la Warner Bros ha già diffuso anche le date di uscita dei seguenti capitoli: 16 novembre 2018 e 20 novembre 2020!

Intanto ANIMALI FANTASTICI E DOVE TROVARLI sarà al cinema dal 17 NOVEMBRE !

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