Golden Globes

Lady Bird, di Greta Gerwig

Arriva nelle sale italiane dal 1° marzo 2018 uno dei migliori film americani del 2017: Lady Bird!

Il film d’esordio di Greta Gerwig, attrice di media fama, conosciuta più per aver interpretato e/o scritto alcuni film di Noah BaumBach [Mistress America, Frances Ha, Lo stravagante mondo di Greenberg] piuttosto che per aver preso parte a film più o meno di successo come Jackie o To Rome with love. A quanto pare, però, è una regista di sensibilità e intelligenza notevoli, così la sua commedia introspettiva si posiziona al primo posto nella classifica annuale della rivista Variety, finisce al 19° posto nella classifica dei 25 migliori film dell’anno secondo Sight & Sound e guadagna un onorevole 5° posto sul sito Rotten Tomatoes, che per fama non è mai prodigo di voti, nemmeno con pellicole di indubbio successo.

Scritto e diretto dalla stessa Gerwig, Lady Bird ha aperto la sezione Special Presentations al TIFF [Toronto International Film Festival] del 2017, ricevendo una standing ovation dal pubblico estasiato. In tutto il mondo ha ricevuto e riceve tuttora ottimi riscontri da parte anche della critica, riscontri che si sono tradotti in parecchi riconoscimenti tra cui 2 Golden Globe su quattro candidature e le cinque nomination agli Oscar® 2018: miglior film; miglior regista per Greta Gerwig; miglior attrice per Saoirse Ronan; miglior attrice non protagonista per Laurie Metcalf; migliore sceneggiatura originale. Realisticamente a pochissime chance, ma le sorprese possono verificarsi.

«Chiunque parli dell’edonismo californiano non ha mai trascorso un Natale a Sacramento [Joan Didion]».

Ambientato nella città di Sacramento, città natale della regista, Lady Bird racconta un anno della vita di una teenager all’ultimo anno di high school (2002 – 2003), Christine MacPherson [Saoirse Ronan, Amabili resti, Brooklyn]. Christine vuole evadere dalla sua famiglia e dalle restrizioni della provincia americana in modo da avere la possibilità di costruire il proprio futuro in un college che sia lontano dall’asfissiante realtà in cui vive tutti i giorni. Ama farsi chiamare “Lady Bird”, proprio per una più o meno consapevole voglia di spiccare il volo e andarsene via per lasciarsi tutto alle spalle: la città, gli amici, l’amore, la famiglia. Christine vive un periodo di ribellione e contrasto nei confronti dell’autorità e di quanto la vita sembra offrirle e cambiare il nome è un primo atto di emancipazione. Lady Bird desidera l’avventura, vorrebbe «vivere qualcosa di memorabile», l’amore che cambia la vita, un’università di alto livello e frequentata da persone “strafighe”, persegue la raffinatezza o l’eccentricità, tutto pur di farsi notare, e pretende l’opportunità che l’America dovrebbe offrire a ognuno, ma non trova nulla di tutto questo né nel suo liceo cattolico né in tutta la città di Sacramento.

«Odio la California! Preferisco la East Coast»

Ad essere perennemente sotto esame per Christine è il suo rapporto con gli altri, sempre troppo patetici e problematici per una ragazza che sente di meritare di più. Si sente relegata «dal lato sbagliato della ferrovia» e sogna di abbandonare la sua bassa estrazione sociale guadagnandosi un posto migliore nei quartieri alti, poco importa se le sue azioni possono rovinare le sue più antiche amicizie o mortificare ogni dinamica familiare. In questo contesto di ribellione e ansia da prestazione, è soprattutto il rapporto di amore/odio con la madre, la sorprendente Laurie Metcalf [Io e zio Buck, Pappa e ciccia], a tessere la ragnatela di riflessioni psicologiche più fitta. Le due alternano momenti di amorevole tenerezza e gesti d’affetto a periodi di attriti continui e conversazioni asettiche da diplomatici internazionali in tempo di guerra fredda. L’incipit del film è proprio una loro discussione in macchina dopo aver ascoltato Furore di John Steinbeck e la conclusione del diverbio è a dir poco originale ed esilarante.

Questo tipo di spaccati sociali tipici del panorama indie sono da sempre amati dal pubblico americano e dalla critica autorevole delle kermesse cinematografiche, perché raccontano e riflettono una società più vicina alla realtà dello spettatore medio. Nel corso degli anni la differenza tra cinema mainstream e indie si è andata via via assottigliandosi e molte grosse case di produzione hanno investito nel settore con compagnie-satellite o hanno inglobato gli indipendenti originari, ma è bello vedere in Lady Bird quel coraggio di affrontare tematiche complesse come l’omosessualità, le angosce esistenziali, le droghe, la disoccupazione, le malattie, i rapporti difficili con la scuola o con la famiglia attraverso un registro drammatico-introspettivo che mal si abbina alla commerciabilità del prodotto film.

Lady Bird sembra continuare idealmente un viaggio psicanalitico a ritroso delle sceneggiature di Greta Gerwig: Frances Ha è la storia della fortuna altalenante di un’aspirante ballerina di 27 anni e Mistress America racconta l’esperienza poco emozionante di una matricola del college. Magari è presto per parlare di autorialità, ma la “ragazza” va tenuta d’occhio.

Nonostante una sceneggiatura spigliata, velatamente autobiografica, e una recitazione sentita, non si può dire che Lady Bird sia particolarmente curato dal punto di vista formale: non presenta un montaggio accattivante, originale o stilisticamente degno di nota; nemmeno la fotografia brilla e la musica si palesa quel tanto che occorre per alleggerire e commentare le scene. Ma allora, cosa di Lady Bird ha conquistato l’America e il resto del mondo, tanto da far inserire il film nella lista dei migliori film dell’anno o da renderlo meritevole di una statuetta o più agli Oscar® 2018? Pare che negli ultimi tempi sia molto in auge premiare chi segue il detto LESS IS MORE, da intendersi, ovviamente, non nell’interpretazione operata da Downsizing. Greta Gerwig scrive e dirige un’opera che fa dell’essenzialità il suo pregio più grande.


La trama scorre senza divagazioni sterili coinvolgendo gli spettatori, chi più chi meno, in una crisi esistenziale di fine adolescenza, nella quale risulta importante il percorso e non la meta finale, parafrasando la massima di Thomas Stearns Eliot. Il Nobel 1948 per la letteratura non è l’unico ad aver ispirato le riflessioni filosofiche della neoregista americana: l’intero viaggio esistenziale della protagonista richiama alla mente le riflessioni di Marcel Proust, “la scoperta non consiste nel cercare nuovi posti ma nel vedere con occhi diversi”, e di Seneca, per il quale “viaggiare e cambiare luogo infonde nuovo vigore alla mente”. Ma è citando Steinbeck nell’incipit che la regista fornisce la chiave per interpretare il film: L’uomo è un animale che vive d’abitudini. Si affeziona ai luoghi, detesta i cambiamenti. […] Ho finito per persuadermi che un uomo deve lasciarsi vivere. Prendere la vita come viene, e non cercare di modificarla.

«Alcuni non sono fatti per essere felici»

Nota a margine: il compositore di Se mi lasci ti cancello e Ubriaco d’amore, Jon Brion, ha curato la colonna sonora di Lady Bird inserendo anche brani tratti da musical di successo: Being alive [Company], Everybody says don’t [Anyone can whistle] e Giants in the sky [Into the Woods], tutte scritte da Stephen Sondheim, che ha anche composto il musical “Merrily we roll along” in cui si esibiscono Lady Bird e gli altri membri del corso di recitazione.

Fa parte del cast anche Timothée Chalamet, candidato all’Oscar® 2018 per il ruolo di Elio Perlman nel film Chiamami col tuo nome di Luca Guadagnino.