Jeremy Irons

Assassin’s Creed, di Justin Kurzel

Assassin’s Creed è un “Balzo della Fede” per tutti. La più bella trasposizione cinematografica che sia mai stata fatta di un videogioco che, con buona pace dei detrattori della sottocultura dei gamers, si spinge oltre l’intrattenimento ludico, fornendo un materiale narrativo senza precedenti, con trame e sottotesti, che tradiscono una visione del mondo al passo con i tempi e le teorie cospirative che, da qualche anno, sono oggetto dell’interesse pubblico.

Parafrasando la celebre frase dell’allunaggio, sarebbe potuto essere un piccolo balzo per il fan ma un salto nel vuoto per chi non ha alcuna dimestichezza con la serie e la sua complessa struttura narrativa che mescola sapientemente fantascienza, storia, azione e spionaggio. Invece, l’Assassin’s Creed di Justin Kurzel [Macbeth, Snowtown] diventa un’esperienza emozionante anche per chi non ha mai giocato al videogame e conosce solo per fama quello che è diventato, a suon di successi, uno dei migliori cross media brand degli ultimi 10 anni.

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Il primo a “saltare” a bordo, di questo progetto ad alto coefficiente di difficoltà, è stato Michael Fassbender, il cui debutto cinematografico è legato ad un’altra trasposizione cinematografica, dello stesso anno in cui la prima versione di Assassin’s Creed entra nelle case dei gamers, il 2007, quando, nel ruolo di Stelios, prende parte, diretto da Zack Snyder, a 300, il superbo adattamento del fantastico graphic novel di Frank Miller. Ha poi conquistato pubblico e critica con Hunger e Shame, diretti da Steve McQueen, per poi ricevere una nomination come miglior attore ai Golden Globe ai BAFTA e agli Oscar® per la sua interpretazione di Steve Jobs, diretto da Danny Boyle.

Un ottimo inizio abbinare uno dei giochi più amati di tutti i tempi con uno degli attori più acclamati del momento, ma si correva il rischio di fare gli stessi errori di altri adattamenti che hanno miseramente fallito nell’hitchcockiano intento di riempire schermo e sedili del cinema.
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Nell’inedita veste di produttore, Fassbender chiede ad un team familiare di fidarsi del suo istinto, coinvolgendo il regista Justin Kurzel, l’attrice Marion Cotillard, premio Oscar® per La vie en rose, lo sceneggiatore Michael Lesslie, il compositore nonché cantante-chitarrista e fratello del regista Jed Kurzel, il direttore della fotografia Adam Arkapaw, che avevano tutti preso parte al Macbeth del 2015. Curioso, poi, che Fassbender abbia scelto Brendan Gleeson per interpretare di nuovo un suo padre filmico come in Codice Criminale.

A fornire esperienza e ulteriore sostanza al cast già lussureggiante la presenza scenica di Jeremy Irons e Charlotte Rampling e del costume designer Sammy Sheldon [Ex machina, Ant-Man, V per Vendetta], fondamentale per la maniacale ricostruzione storica e l’adattamento concreto del game concept alla fruibilità attoriale.

Un bel “Balzo della Fede” lo avete compiuto anche voi lettori ad aver sopportato tutto questo preambolo prima di arrivare a conoscere la TRAMA del film:

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Antefatto ambientato nella Spagna del 1492, con la presentazione dell’interminabile scontro tra l’Ordine dei Cavalieri Templari, che cercano di impossessarsi della Mela dell’Eden e togliere così all’umanità il dono del libero arbitrio, e la Confraternita degli Assassini, che sono votati, anima e corpo, alla difesa della reliquia sacra e del genere umano. Nella Mela è, infatti custodito il seme della prima disobbedienza e potrebbe essere adoperata per assoggettare a qualsiasi volere la mente degli uomini.

«Le nostre vite non sono niente. La Mela è tutto»

Sulle note di una ballata heavy metal, che sottolinea perfettamente la spettacolarità di una ripresa aerea, cifra stilistica del gioco prima che del film, la mdp segue il volo di un’aquila e l’azione del prologo si sposta a Baja California nel 1986, quando qualcosa di estremamente significativo segna l’infanzia del protagonista,  Callum Lynch, e ne determina il futuro, ovvero il suo 2016, quando, ormai adulto attende l’iniezione letale nel penitenziario di Huntsville, in Texas.

«Il tuo sangue non ti appartiene»

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Segretamente salvato dalla Abstergo, società segreta che funge da facciata “pulita e luminosa” dei Templari, Callum [Michael Fassbender] è costretto a sperimentare una tecnologia rivoluzionaria ideata dalla dottoressa Sophia Rikkin [Marion Cotillard] per «eliminare la violenza e combattere l’aggressività»: l’ANIMUS, un macchinario, meravigliosamente migliorato rispetto alla sedia da dentista del videogioco, che permette al paziente di “rivivere in prima persona” i ricordi dei suoi antenati. Callum scopre, così, di discendere da quell’Aguilar de Nerha [sempre Michael Fassbender], membro dell’Ordine degli Assassini, vissuto nella Spagna del XV secolo, nonché ultima persona conosciuta ad aver posseduto la Mela. I Templari vogliono sfruttare il flusso di memoria per scoprire dove sia tenuta nascosta la reliquia, ma con i ricordi Callum immagazzina anche le esperienze, le conoscenze e le abilità di Aguilar e soprattutto ne eredita la missione.

«Giurami che sacrificherai la tua vita»

Assassin’s Creed ha un incipit che cattura e l’immedesimazione è la chiave di volta della trama, per il rapporto spaziotemporale che si crea tra il protagonista e il suo antenato e, parallelamente, tra personaggi e spettatori. Rapiti da e scaraventati nel pieno dell’azione fin da subito, si può non far caso al registro simbolico, indissolubilmente legato alla spettacolare fotografia, che valorizza i contrasti e rispetta la regola dei terzi e la sezione aurea senza troppo ricorso alla CGI.

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Girato nel deserto dell’Almeria, in Spagna, dove Sergio Leone ha realizzato i suoi western da antologia, il film di Kurzel dà eco al ribaltamento della simbologia classica operato già in origine dai creatori del videogioco e dona risalto ai Templari in inquadrature dove risultano avvolti nella luce, con la croce, loro emblema, a campeggiare prepotentemente, generando un sottotesto che sovverte in maniera provocatoria ogni concezione dogmatica, secondo la quale la luce debba rappresentare il Bene e l’ombra il Male.

Emblematica è una delle prime scene quando la mdp striscia rasoterra e sinuosa come il serpente dell’Eden e raggiunge la cella di Callum dove assistiamo ad uno scambio di battute e di vedute tra lui e il prete confessore in un tripudio di dialettica fotografica caratterizzato dal forte contrasto luce-ombra. La mdp strisciante è una cifra stilistica che tornerà nel corso del film a segnalare momenti significativi.

«Vuoi salvare la mia anima?»

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Lontani dalla luce dei riflettori, invece, svolgono la loro missione gli Assassini, la cui origine è liberamente ispirata ai Nizariti, la principale setta degli ismailiti, una corrente dell’islam sciita, seguaci dell’Aga Khan, e conosciuti in passato anche come Setta degli Assassini oppure semplicemente Assassini (Hashashin). La parola “assassino” deriva proprio dalla loro pratica di ricorrere a omicidi mirati per l’affermazione della propria politica .Realmente esistiti, quindi, ma, come i Templari, oggetto di miti e leggende che hanno dato ampio margine di manovra a soggettisti e sceneggiatori fino alla creazione del conflitto millenario che è alla base dell’Assassin’s Creed universe.

«Agiamo nell’ombra per servire la luce. Siamo Assassini»

Un ulteriore spunto di riflessione a caldo ha un’origine etimologica: malum/male e malum/mela sono entrambi sostantivi neutri della seconda declinazione, ma differiscono nell’accento (breve per “male” e lungo per “mela”), che però è facoltativo scrivere, quindi la mela da semplice anagramma è assurta ad emblema del Male per qualche traduzione sbrigativa persa nel tempo, nel Medioevo degli amanuensi, quando analfabeti pendevano dalle labbra di semianalfabeti ed era molto più semplice raccontare una fiaba fantasy che non spiegare che il Bene e il Male coesistono, senza confini ben definiti, nell’universo, allo scopo di equilibrarne le forze e mantenere l’archetipica armonia degli opposti.

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Infine arriviamo a quello che senza ombra di dubbio possiamo considerare il più grande “Balzo della Fede” nel film di Assassin’s Creed, perché reale, perché fuori davvero da ogni immaginazione: è  quello che opera Damien Walters, ginnasta, corridore e stuntman molto richiesto [Kingsman: Secret Service, Captain America – Il primo vendicatore, Scott Pilgrim vs. the World]. Nessuna controfigura digitale, quindi, per quello che è considerato nella narrazione stessa del videogioco come un’azione mitica, che ha in sé del soprannaturale. Fassbender, che si è fatto sostituire nelle scene di combattimento per solo il 15% delle riprese, è rimasto stupito: «Damien ha fatto veramente un Balzo della Fede di 35 metri buttandosi da una gru senza cavi e senza alcuna corda elastica, solo in caduta libera».

Anche per un stuntman con l’esperienza di Walters, la caduta libera fa paura al solo pensarci. La produzione ha messo in campo una seconda unità per catturare lo stunt sul set quel giorno, e meno male perché l’unità principale si era messa in pausa per guardare Walters saltare. Walters ci ride su: «L’effettiva sagoma della base su cui cadere è di soli 10 metri x 10 metri, l’effetto che ti fa quando sei sulla piattaforma a 35 metri è quello di dover cadere su un foglio A4. La cosa migliore è quando ne esci e puoi dire a te stesso “Sì, sto bene”».

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«Quando giri, 25 metri o 35 possono dare la stessa impressione – ha dichiarato il regista – ma per Damien era fondamentale raggiungere un’altezza record. È stata una giornata emozionante, ma anche stressante, ma credo che si riesca a percepire anche nel girato, senti che qualcuno lo ha effettivamente fatto. E mi piace il fatto che io ci fossi e che l’abbia potuto girare, non è come quando lo realizzi in tutta tranquillità con qualcuno che spinge un paio di pulsanti».

Prodotto da New Regency, Ubisoft Motion Pictures, DMC Films e Kennedy/Marshall e distribuito da 20th Century Fox, il film è destinato ad essere il capostipite di un franchise cinematografico a lunga percorrenza: «questo film segna l’origine di una storia – ha dichiarato Fassbender – Abbiamo un’idea su che strada percorrere nel corso dei prossimi due film. Abbiamo creato un arco narrativo in grado di coprire tre lungometraggi. Vedremo come gli spettatori reagiranno con questo primo capitolo». Intanto è in fase di preproduzione il secondo film, che Kurzel vorrebbe ambientare durante la Guerra Fredda, il periodo giusto per “vivere nell’ombra”!

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«Vivi nell’ombra!»

Race – Il colore della vittoria, di Stephen Hopkins

James Cleveland Owens (Stephan James) parte a 21 anni per l’università, lasciando una figlia piccola, una ragazza ancora da sposare e una famiglia d’origine in precarie condizioni economiche. La nuova vita sembra già una conquista, ma qualche mese dopo, grazie al coach dell’Ohio University Larry Snyder (Jason Sudeikis), Jesse ottiene la convocazione per le Olimpiadi di Berlino dopo un esordio clamoroso. Stabilisce quattro record del mondo in quattro specialità differenti nel corso di un’unica manifestazione sportiva: le 100 yards (in 9”3), le 220 yards piane (in 20”3), le 220 yards ad ostacoli (in 22”6) e il salto in lungo (con 8.13 m).

È il 1936 e la politica di epurazione razziale di Hitler divide il Comitato Olimpico Americano: partecipare o boicottare? La comunità afroamericana si pone lo stesso problema. Jesse, dal canto suo, sa una cosa: se andrà, non potrà permettersi di non vincere. Del resto, lui è uno sportivo e come tale deve ignorare qualunque influenza esterna alla pista di atletica. L’agonismo è l’unica condizione al mondo che non ammette discriminazioni di sorta.

Race

Il regista Stephen Hopkins non è nuovo alla biografia: quella di Peter Sellers (Tu chiamami Peter) aveva fatto infuriare chi la trovava esageratamente critica tanto quanto chi la giudicava non abbastanza mostruosa. Con Race, titolo dal doppio significato, sembra evitare il rischio in partenza, rinunciando alle sfumature e optando risolutamente per un ritratto eroico di Owens, dall’inizio alla fine, nello sport e nella vita.

D’altronde – sembra dire Hopkins – i conflitti esterni al personaggio sono tali e tanti che lo mantengono comunque e perennemente sotto pressione. E così è: la scelta di raccontare i giochi olimpici più controversi della storia porta con sé una quantità di materiale narrativo ingente, e il regista lo gestisce aspirando ad un modello di racconto classico, che in qualche momento gli riesce bene e in altri meno. Basato sui racconti della figlia Marlene, il lungometraggio promette di smentire alcune “bugie” sulla sua vita: ad esempio, non è vero che il Führer non volle stringergli la mano. L’atleta sarebbe, invece, stato evitato dall’allora presidente USA Franklin Delano Roosevelt.

In realtà, mio padre non si è mai sentito snobbato da Hitler. In retrospettiva, mio padre fu profondamente ferito dal fatto che Franklin Delano Roosevelt, il presidente americano dell’epoca, non l’avesse ricevuto alla Casa Bianca

ha affermato la figlia. Owens, infatti, si vide cancellare – e mai più riprogrammare – un appuntamento da Roosevelt, impegnato nelle elezioni presidenziali del ‘36 e preoccupato della reazione che avrebbero avuto gli Stati del Sud.Race

La volontà di mantenersi sul politically correct riduce, però, il tasso di tensione, così come l’impressione che il battere ogni record non costi a Owens fatica alcuna, e l’immagine del suo reiterato primato, nello stadio bianco che doveva magnificare agli occhi del mondo il Terzo Reich, resta la sola a tentare di ristabilire un equilibrio. Race corre alla meta ma, dal punto di vista filmico, è una vittoria poco sudata: senza le sfumature, la foto-ricordo è piatta.

La corrispondenza – Il trailer

Una giovane studentessa universitaria impiega il tempo libero facendo la controfigura per la televisione e il cinema. La sua specialità sono le scene d’azione, le acrobazie cariche di suspence, le situazioni di pericolo che nelle storie di finzione si concludono fatalmente con la morte del suo doppio. Le piace riaprire gli occhi dopo ogni morte. La rende invincibile, o forse l’aiuta a esorcizzare un antico senso di colpa. Ma un giorno il professore di astrofisica di cui è profondamente innamorata sembra svanire nel nulla.

È fuggito? Per quale ragione? E perché lui continua a inviarle messaggi in ogni istante della giornata?
Con queste domande, che conducono la ragazza lungo la strada di un’indagine molto personale, inizia la storia del film. La Corrispondenza è l’ultimo film scritto e diretto da Giuseppe Tornatore, con Jeremy Irons e Olga Kurylenko. Una produzione Paco Cinematografica in collaborazione con Rai Cinema. Al cinema dal 14 gennaio.

Guarda il trailer ufficiale.