The Giver – Il mondo di Jonas, di Jeff Bridges

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In un mondo senza odio e senza amore, in cui le sfumature cromatiche e sonore hanno preso il posto di un’omogeneità asettica, immersa nell’utopia del controllo delle emozioni e di un’ordine costante, l’unico uomo pronto ad accogliere la memoria dell’umanità risveglia la coscienza collettiva dal torpore a cui è condannata.

Sotto la lente grigia di un mondo dalle forme perfette, armoniche, in cui gli alberi hanno i contorni irrealistici di un quadro, e le persone si confondono, vestite allo stesso modo, belle e in forma come sono. Nessuno corre e schiamazza, nessuno si lascia andare a slanci passionali e aggressivi. Tutto scorre ogni giorno in un silenzio costante, in cui ogni frammento della società svolge il suo dovere, come una formica operosa, senza fare domande. Il Consiglio degli Anziani a guardia dell’ordine supremo attribuisce ad ogni cittadino il suo ruolo nella comunità, una professione adeguata alle sue inclinazioni, lo inseriscono in un’unità abitativa sicura e gli attribuiscono un nucleo familiare. La possibilità di scegliere un compagno, di condividere insieme la propria vita e di procreare è completamente esclusa, perché i bambini sono messi al mondo dalle donne destinate alla procreazione, e le nascite sono controllate con uno studiatissimo metodo indolore di eutanasia.

La differenza sociali e di razza, la sovrappopolazione e la miseria, e qualsiasi forma di sofferenza sono state cancellate. Non esiste il dolore così come non esiste l’amore, e le emozioni sono soppresse da una serie di iniezioni che annebbiano il cervello per conformarlo all’ordine imposto dall’esterno ma, cosa ancora più grave, è scomparsa la memoria collettiva. Gli abitanti, apparentemente ipnotizzati, di questa realtà distopica non hanno gli strumenti per reagire all’abominio a cui sono piegati, perché non hanno memoria delle grandi rivoluzioni e di un mondo diverso, in cui trionfano i colori delle differenze e delle emozioni, in cui ci si innamora, ci si separa, si gioisce e si soffre profondamente per la perdita dei propri cari. Nessuno prova più dolore e nessuno sa cosa sia la guerra, ma in nome di questa pace apparente gli uomini hanno rinunciato ai sentimenti che li rendevano umani, nel bene e nel male.

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L’unico che ha il privilegio di vedere il mondo a colori, è l’accoglitore di memorie, il membro della comunità prescelto per conoscere la realtà del passato e per accogliere dentro di sè la memoria di un mondo che non esiste più, che è stato annientato dalla vigliaccheria delle generazioni passate, stanche di combattere per un ideale e di arrancare in una vita costellata di delusioni e sofferenze. Il giovane Jonas è il nuovo accoglitore di memorie, il ragazzo più sensibile della comunità, che si apre alla conoscenza del mondo che non ha mai vissuto con una curiosità vivida, ed è istintivamente portato condividere con i suoi amici le meraviglie della natura e l’intensità delle emozioni che gli ha mostrato il suo viaggio indietro nel tempo. Ma come il prigioniero del mito platonico, che si libera dalla caverna in cui ha sempre vissuto con i suoi compagni, accontentandosi di vedere le ombre del mondo esterno, e torna indietro per illuminarli sulla verità di un mondo fatto di corpi e natura tangibili, Jonas viene deriso e nessuno riesce a credere ai suoi racconti straordinari, a parte chi conserva in fondo all’anima il residuo di un’umanità perduta, e ha il coraggio di sfidare l’ordine precostituito per provare anche solo per un istante l’ebrezza di un’emozione.

La realtà distopica di The Giver appartiene alla nostra memoria letteraria, e trova le sue origini nel romanzo di Lois Lowry che venti anni fa ha ammaliato gli adolescenti americani, proponendo uno scenario futuristico inquietante in cui la tecnologia ha fagocitato il mondo conosciuto. Tuttavia nel distacco tra la genesi del romanzo e quella del film di Jeff Bridges, altri mondi simili sono stati delineati, dall’arena letale di Hunger Games all’umanità brutalmente incasellata di Divergent, e il mondo senza memoria di The Giver ha perso inevitabilmente la sua forza originaria, risuonando familiare e poco sconvolgente a un pubblico assuefatto alla concezione di realtà fantascientifiche e geloso custode della memoria cinematografica degli ultimi anni.

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