Blackhat, di Michael Mann

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Recensione di: Marco Scali

In una stagione avara per gli appassionati di Spy Thriller arriva in loro soccorso Michael Mann, con Blackhat. Il film racconta di una task force formata da servizi speciali americani e cinesi, che hanno l’obiettivo di fermare un Cyber-criminale. Per farlo hanno bisogno dell’aiuto di un ex galeotto Nicholas Hathaway (Chris Hemsworth),che li seguirà in una caccia all’uomo che va da Chicago ad Hong Kong.
Hemsworth è perfettamente nella parte, sopratutto quando il film decide di abbandonare la caccia virtuale in favore di quella più fisica. Ancora più brava tutta la compagine attoriale cinese, in particolare la bravissima Tang Wei, che mostra una grande sintonia con il protagonista.

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Si deve, però, criticare una certa osticità e lentezza iniziale, dovuto ad un eccessivo delle tecnobubbule che purtroppo, il cinema americano mette sempre in campo per cercare di rendere più interessante il mondo dei crimini virtuali, ma che hanno sempre il demerito di rendere la tecnologia poco credibile e più affine alla magia.
Per fortuna quest’aspetto poco interessa a Mann, che porta la narrazione verso una dimensione narrativa più adrenalinica, in cui tutta la fisicità di Hemsworth diventa parte attiva del film. Oltre questo, un altro punto debole della narrazione è il piano criminale del cyber-criminale, un piano che bene si sarebbe accordato con i cattivi dei film di James Bond, ma che stona con l’estremo realismo di Mann.

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