mistero

Tenet, di Christopher Nolan

Il TEMPO è un concetto astratto generato in epoca ancestrale e, da sempre, oggetto di studi filosofici, prima che scientifici. La maggior parte della nostra esperienza temporale si basa sull’osservazione dei fenomeni intorno a noi, siano essi immediati (la vita quotidiana, il succedersi di giorno e notte, l’alternarsi delle stagioni), macroscopici, come l’universo, o microscopici, come la materia, intesa come sostanza di cui tutto è fatto. Ma la percezione di questi fenomeni viene registrata in maniera diversa sia da soggetto a soggetto sia dalle diverse figure di ricercatori: per un filosofo, ma anche per molti altri, il concetto di tempo è legato ai cambiamenti che un determinato oggetto di osservazione subisce anche stando fermo e presuppone altri concetti astratti come un “prima” e un “dopo”, mentre per un fisico questi concetti sono inammissibili scientificamente come concreti perché un oggetto “è”, “esiste” a prescindere e anche quando avviene una trasformazione il tempo verbale che si usa è al massimo un passato prossimo come “è diventato”.

In questo anarchico contesto ha avuto terreno fertile il terzo “ricercatore”, quello religioso che, senza addentrarci in intricate e pericolose disquisizioni, ha sfruttato da sempre la paura innata della morte e dell’ignoto per fornire al tempo un’importanza morale più o meno strumentalizzata nei secoli con lo scopo, neanche troppo celato, di guidare l’ignorante ad operare per il bene della specie e della sua evoluzione.

Tenet

Prendiamo una cosmogonia fra le più celebri: i greci hanno considerato Kronos come padre di Zeus e degli altri dei dell’Olimpo, ma figlio a sua volta di Urano e Gea, interpretabili come Universo e Terra. Quindi il tempo nasce dall’interazione della terra con il firmamento, quindi è associabile ai moti di rotazione e rivoluzione. Inoltre, sembra che il tempo governi un po’ tutti gli elementi se non si considera una figura mitica ben più importante e al di sopra di tutto per la mitologia greca: il Fato, inteso come la necessaria ed ineluttabile storia già scritta, a volte visto come “destino” dal punto di vista degli esseri viventi. E di questi tempi, in cui siamo costretti a vivere in spazi limitati, cercando di ottimizzare un tempo ristretto o dilatandolo in maniera abnorme rispetto alla frenetica quotidianità a cui eravamo abituati, ci rendiamo molto più conto di quanto sia il Fato a scrivere la storia del mondo, ma non in maniera ineluttabile, questo vuole affermare in maniera energica Tenet.

«La più antica e potente emozione umana è la paura,
e la paura più antica e potente è la paura dell’ignoto»

Howard Phillips Lovecraft

Il nuovo film di Christopher Nolan sembra far tesoro della massima homo faber fortunae suae e dimostrare che ognuno può svolgere un ruolo comunque fondamentale in un progetto che va magari al di là della sua comprensione e svolgere la funzione di eroe, quantomeno della propria storia, e scriverne un finale anche più che soddisfacente. Nolan, con il suo film pronto già in periodo di lockdown forzato, non s’inchina al tempo avverso e abbraccia il fato che, meschino, gli aveva inserito uno scoglio quasi insormontabile sul cammino e diventa l’eroe di cui il cinema aveva bisogno proprio in quel momento, non quello che merita, dato quanto ha dovuto tribolare per poter uscire in sala, come emblema di speranza per un sistema che naviga a vista sull’orlo del baratro.

Tenet

Oggi, portare a termine un progetto cinematografico così complesso e stratificato, dall’intreccio così intricato – non la trama che è, di per sé, abbastanza semplice e “lineare” – è da considerarsi impresa davvero leggendaria.

Il fatto è che un bel film come Tenet, per quanto sorprendentemente raffinato e storicamente importante, da solo non può salvare tutto un mondo ancorato a logiche commerciali anacronistiche, ormai da rivedere e innovare quasi totalmente. Scusate il piccolo excursus.

Ma intanto Tenet può essere considerato il film più significativo di questo funesto 2020 per il momento storico della sua uscita, per la speranza che rappresenta e per le ore di intrattenimento altamente intelligente che ha fornito a chi aveva alle spalle mesi di frustranti bollettini medici e palinsesti che iniziavano a raschiare il fondo del barile dei b-movie.

L’intreccio di Tenet assorbe gran parte delle energie, dicevamo, per la sua complessità, ma ciò nonostante è impossibile non rendersi conto che la sceneggiatura costruisce personaggi degni di nota, memorabili, che potrebbero benissimo godere di nuova vita in seguiti, prequel o spin-off.

Tenet

Addirittura le battute non sono mai dei semplici riempitivi, utili solo a giocare con l’attenzione della sala. Ogni linea di dialogo è densa di significato e ottiene d’incollare allo schermo anche le orecchie, oltre che gli occhi e i neuroni.

A tal proposito è significativo l’uso dei volumi: gli effetti sonori di Tenet e le musiche composte per l’occasione da Ludwig Göransson [Creed, Creed II, Black Panther] disturbano o addirittura sovrastano le conversazioni, fornendo un ulteriore motivo di attenzione oltre che rendere maggiormente reale la messa in scena. Per non parlare della chicca veramente sbalorditiva di eseguire le partiture al contrario quando il Protagonista – proprio questo è il nome con cui viene identificato il protagonista! – è in viaggio nel tempo in modalità reverse. Un vero tocco di genio, ciliegina su una torta deliziosa.

Tornando all’esperienza vissuta dallo spettatore e alla sua attenzione “ferrea” calamitata dal film, si nota che persino l’immancabile spiegone nolaniano sembra una lezione oltremodo interessante su di un argomento per cui il regista pare sfidare chiunque a far di meglio: la base della trama è immersa dalla testa ai piedi, senza talloni d’Achille, nelle teorie più dibattute di fisica quantistica, una materia pressoché intrattabile dai mass media fino a pochissimo tempo fa. Discorsi intricatissimi ad appannaggio di un’élite veramente ristretta di menti supreme.

Tenet

Tenet è un’enigmatica variazione sul tema del controllo del tempo, giocata un po’ in stile James Bond, con tanto di femme fatale [Elizabeth Debicki: Everest, Macbeth, Guardiani della galassia Vol. 2] e un po’ in stile heist movie, sofisticata come Inception, ma dotata di una concretezza molto più solida. A conferire questa credibilità alla trama non è tanto la spiegazione pseudoscientifica, che mescola fisica quantistica, algoritmi fisici e paradossi temporali, quanto più la messa in scena realistica, senza fulmini, dissolvenze e portali luminosi. A questa asciuttezza scenica va abbinato il continuo ricorso al gergo militare, che contribuisce non poco fornendo consistenza ai discorsi e tangibilità a quanto avviene di straordinario nel film: ricordate l’insegnamento di The prestige?

«[…] Il secondo atto è chiamato “la svolta”.
L’illusionista prende quel qualcosa di ordinario e lo trasforma in qualcosa di straordinario. Ora voi state cercando il segreto… ma non lo troverete, perché in realtà non state davvero guardando. Voi non volete saperlo. Voi volete essere ingannati. Ma ancora non applaudite. Perché far sparire qualcosa non è sufficiente; bisogna anche farla riapparire.
Ecco perché ogni numero di magia ha un terzo atto, la parte più ardua, la parte che chiamiamo il prestigio

The prestige

Della colonna sonora si è già parlato. Anch’essa concorre abilmente a puntare un grosso riflettore sull’ordinario per distrarre e poi sorprendere, ma per mandare davvero tutti fuori rotta fin dall’inizio, il regista sceglie il metodo hitchcockiano del macguffin, che ha rappresentato, in pratica, lo scheletro stesso su cui è stata orchestrata la trama, solo fintantoché il film non è approdato in sala: quello che viene definito il quadrato magico del Sator. Si tratta di un’iscrizione latina ritrovata nel 1925 a Pompei, per poi “scoprirla” da sempre presente su vari monumenti nel mondo. L’appellativo “magico” deriva dalla disposizione delle parole a formare un quadrato di 5×5 in modo che le scritte si leggano in più direzioni. È un palindromo molto complesso che ha scatenato non poche interpretazioni, finanche quella religiosa, che anagramma le lettere fino a costruire una croce con le parole “paternoster” più un paio di alpha e di omega a decorazione sui lati. Un codice studiato durante le persecuzioni dei paleocristiani? Tutto è possibile. Anche che Nolan lo abbia sfruttato come specchietto per le allodole in modo da depistare le spie cinematografiche che, così, hanno avuto un bel macguffin su cui fondare le loro illazioni sul film, senza rovinare la sorpresa.

Tenet

Nolan riesce addirittura nell’impresa di tenere all’oscuro tutti della trama. Persino il suo fedele Michael Caine [Interstellar, Youth] ha dichiarato di aver recitato conoscendo solo lo stretto indispensabile per portare a termine le sue scene. Non sembra nemmeno un’esagerazione se si devono fare i conti con giornali fondati su scoop e leaks che hanno a cuore il loro tornaconto, non certo i vantaggi di una visione priva di spoiler.

Tornando allo sfruttamento del quadrato come macguffin nel film di Nolan, Sator [Kenneth Branagh: Assassinio sull’Orient Express, Dunkirk] è l’antagonista del Protagonista – è questo il nome del personaggio interpretato da John David Washington [Blackkklansman]. Rotas è la ditta che Sator adopera per i suoi nefasti scopi (non aggiungerò altro per ovvi motivi).

«Non ho idea di quali armi serviranno per combattere la terza guerra mondiale, ma la quarta sarà combattuta con pietre e bastoni»

Albert Einstein

A questo punto permettetemi di aggiungere la mia personale interpretazione: i termini SATOR e ROTAS sono ai margini del quadrato, o meglio al confine, che in latino si direbbe FINIS, parola sempre di 5 lettere guarda caso! Con questa parola si possono coprire le tre funzioni narrative del binomio SATOR-ROTAS perché FINIS è “limite” o confine, rappresentato dalla lotta contro il tempo, ma vale anche per “scopo, obiettivo”, che rimanda alla missione dell’organizzazione denominata TENET che vuole scongiurare la fine (sempre FINIS) del mondo, obiettivo dei nemici. Per concludere – e metterci una croce su 😊 – TENET è al centro del quadrato magico formando proprio una croce (in hoc signo vinces??), è il cuore che opera dall’interno infiltrandosi nelle maglie del piano nemico. E nessun nome è casuale, a questo punto Neil [un convincente Robert Pattinson: The Batman, Le strade del male] ha la stessa pronuncia di nihil che è “niente” e, infatti, non se ne sa niente, ma a volte basta un niente, no 😉? Kat invece equivarrebbe all’inglese “cut”, il taglio che serviva per risolvere l’arcano, per dirla in maniera criptica.

«Posso darti solo una parola: Tenet. Può aprire molte porte, ma alcune di queste saranno sbagliate»

Nel tempo – sarebbe proprio il caso di dire – ma è meglio dire… Nella storia del cinema e della letteratura di genere abbiamo vissuto fantastiche avventure su locomotive e DeLorean volanti, siamo stati coinvolti in cacce all’uomo avanti e indietro nel tempo, ci siamo abituati a dubitare dei flashback e a riordinare intrecci annodati stretti dalle solite menti intricate. Sappiamo poi che non bisogna cambiare il passato se non si vogliono avere ripercussioni di varia natura sul futuro, o bisogna farlo, se il cambiamento si profila necessario, magari per la salvezza dell’intera umanità. Ma quello che accomuna tutte queste esperienze straordinarie è la ferma consapevolezza che l’uomo non potrà mai dominare appieno il tempo. Il tempo governa l’universo. Così, Nolan, mitico eroe dei nostri giorni, dopo aver domato proprio l’universo con Interstellar e aver saggiato la forza del tempo, si è posto un nuovo obiettivo di altissimo profilo: dominare quella che è per noi simultaneamente la bestia più indomabile e il nostro bene più prezioso, ossia il tempo.

Tenet

Tenet, con il coraggio e l’innovazione, inverte l’entropia di un’industria cinematografica sempre più votata – o dovrei scrivere “vuotata” – al vuoto cosmico, permeata com’è di trame spegnicervello e di prodotti sempre più minimali dal punto di vista tecnico-artistico, per privilegiare un percorso di fruizione più immediato e veloce che privilegia la serie TV e il film pensato esclusivamente per il mercato homevideo. Non ci sono note di biasimo in queste affermazioni, solo la constatazione del cambiamento di un mondo dell’intrattenimento che si è adattato al pubblico di riferimento, stressato e quindi desideroso di sentirsi appagato nel vedere qualcosa che non sia troppo impegnativo e che ben si adatti alla resistenza media all’abbiocco sul divano dopo cena. Per tutti gli altri esistono quelle serie che hanno fatto da apripista a Tenet, permettendone la comprensione e il conseguente apprezzamento. Uno su tutti? Dark! Lo spettatore-target del film di Nolan è presumibilmente lo stesso della serie tedesca e, per dirla con un sillogismo aristotelico: se Dark è la miglior serie TV mai realizzata e Tenet tratta argomenti simili ad essa, il pubblico non può non apprezzare il film. Quello che però va premesso è che il pubblico-target va inteso come insieme di persone che hanno ben radicato in loro il desiderio di cimentarsi nella soluzione di un enigma cinematografico. Che poi potremmo benissimo definirlo il pubblico tipico di Nolan, anzi, dei Nolan, vista la predilezione dei due fratelli per le trame ad incastro e cervellotiche che procedono su più linee narrativo-temporali. È come una missione che si sono tacitamente assegnati: quali novelli Prometeo si adoperano in ogni frangente per intrattenere sì ma anche per istruire la massa e dare una spinta all’evoluzione della specie “spettatore”.

Tenet

Rispetto a Inception, Tenet perde un po’ in spettacolarità, è chiaro, ma guadagna un sacco in fascinazione: l’essenziale, insegna Il piccolo principe, è invisibile agli occhi e l’amore che Nolan dissemina nel film è un amore titanico per l’enigma. I suoi film sono sfingi da decifrare, oracoli da interpretare, codici da decriptare. Con buona pace di chi non ce la fa e che sceglie di comportarsi poi come la volpe con l’uva se non li capisce, i film di Nolan sono ad un livello superiore d’intrattenimento. Non sono adatti per chi è assuefatto alla società dei consumi, del “cotto e mangiato”, del visto e subito dimenticato. Si tratta di opere stratificate dove ogni successiva fruizione porta sempre lo spettatore ad una riflessione a posteriori e ad una consapevolezza in più rispetto a prima. Un’evoluzione. E questa spinta evolutiva è stata ben ponderata da altri che, inconsapevolmente – mi riferisco sempre a Dark, ma anche a Black Mirror – hanno educato il pubblico a non dare per scontato nulla e a seguire invece con attenzione qualsiasi elemento, pure l’oggetto apparentemente più insignificante, per non perdere nessun nesso logico.

Tenet ha, quindi, come target uno spettatore istruito, non tanto sulla fisica quantistica, quanto più sulla scienza da film, quella che già sa piegare il tempo ai suoi voleri, che sa viaggiare oltre la fantasia in uno spazio plausibile, che sa entrare e (forse) uscire dai meandri della psiche umana senza perdere coerenza. Inception, Interstellar e ora Tenet godono di questa maturità nel narrare e narrare cose che voi umani – un tempo si sarebbe detto – non potete neanche immaginare.

«L’ignoranza è la nostra arma»

Tenet

Valerian e la città dei mille pianeti, di Luc Besson

Sono stati necessari più di dieci anni di lavorazione per realizzarlo, ma Valerian e la città dei mille pianeti, non tradisce le aspettative, neanche quelle del suo fan più esigente: il regista stesso. Sì, perché il nuovo film di Luc Besson, adattamento cinematografico della serie sci-fi a fumetti Valérian et Laureline, ideata dallo scrittore Pierre Christin e illustrata dal disegnatore Jean-Claude Mézières, è stato progettato per far conoscere al grande pubblico un’opera in 22 volumi che dal 1967 al 2010 ha ispirato e continua a influenzare la narrativa di fantascienza di ogni settore.

«Siediti, rilassati e goditi lo spettacolo»

2174. il maggiore Valerian ed il sergente Laureline sono due agenti speciali incaricati di mantenere l’ordine nell’universo. I migliori. L’uno [Dane DeHaan; Chronicle, La cura del benessere] è un soldato valoroso, anche se un po’ approssimativo e svogliato quando si tratta di procedure e regole d’ingaggio, libertino in amore, ha paura solo d’impegnarsi sentimentalmente, cosa che, ovviamente, non è gradita alla sua partner, con la quale ha in piedi una relazione. L’altra [Cara Delevingne; Suicide Squad, Città di carta] è una stratega eccezionale dal temperamento burrascoso, ligia al dovere e ben ferma nelle proprie convinzioni. Il loro rapporto non è, però, la trama principale del film. La loro missione è recuperare un oggetto preziosissimo, l’ultimo trasmutatore esistente, e consegnarlo al comandante Arün Filitt [Clive Owen, Inside man, I figli degli uomini] sulla stazione orbitante Alpha. Scesi dall’Intruder, la loro astronave-factotum, s’imbattono, però, in un difficile intrigo che ha a che fare con una minacciosa Red Zone che, dal nucleo di Alpha, si allarga come un tumore destinato a distruggere la stazione stessa e tutto ciò che essa rappresenti per l’intero universo.

«Chi sapeva è stato ucciso».

Conosciuta come “la città dei mille pianeti”, Alpha è una megalopoli in continua espansione, in cui vivono migliaia di specie provenienti da galassie diverse, anche distrutte dal tempo o dalle guerre. È un vero e proprio cluster intergalattico la cui silente storia è tracciata durante i titoli di testa, accompagnati “soltanto” dal brano Space oddity di David Bowie, che rappresenta non solo un sentito omaggio al camaleontico cantautore britannico e ai suoi futuristici alter ego, ma anche un forte intento di caratterizzazione della stazione orbitante come punto di riferimento privilegiato per ogni pioniere dello spazio e come simbolo supremo di condivisione, unità, fratellanza e pace tra popoli. Questo incipit, molto curato sotto ogni punto di vista, ha la particolarità tecnica di abbinare le immagini del passato con l’aspect ratio tipica dell’epoca (immagini di repertorio in 4:3 per la storica sequenza dell’incontro fra la navicella americana Apollo e la sovietica Soyuz nel 1975; formato 16:9 per la sequenza a episodi che parte dal 2020; fullscreen quando si arriva al 2150).


Il messaggio stesso che è alla base di Valerian e la città dei mille pianeti è veicolato da Alpha che «raccoglie tutta la conoscenza dell’universo – spiega Besson – c’è Wall Street, la Città della Scienza, le Nazioni Unite, Broadway. C’è tutto. E questo la rende il luogo più importante dell’intero universo, dove tutte le razze s’incontrano, portano conoscenza e condividono culture da ogni parte, ma soprattutto hanno imparato a convivere. Se alcuni credono che sia complicato vivere accanto a cinesi o afroamericani, che ne penseranno dei miei alieni? Un proverbio che amo dice “puoi scuotere un albero quanto vuoi, se il frutto non è maturo non cadrà”. Quello che possiamo fare noi artisti è inserire idee qua e là, sta poi al pubblico coglierle. Con i miei cinque figli mi comporto nello stesso modo, cerco di stimolare la loro ricettività».

Insomma, per Besson vale lo stesso concetto che muove i personaggi di Inception di Christopher Nolan: piantare semi di idee nel subconscio dello spettatore stimolando la sua ricettività in maniera implicita. E questa non è l’unica analogia possibile tra i due autori. Entrambi, infatti, lavorano meticolosamente ad un film anche per moltissimo tempo, soprattutto in fase di preproduzione e amano circondarsi di una crew ampiamente collaudata e affiatata, “famigliare” se consideriamo che per loro le figure di moglie e produttrice coincidono perfettamente. Oltre a lei, Virginie Besson-Silla [Lucy, Revolver], Besson si è avvalso di un team di collaboratori storici come il direttore della fotografia Thierry Arbogast [Lucy, Il quinto elemento], il compositore premio Oscar® Alexandre Desplat [Grand Budapest Hotel, The imitation game], lo scenografo Hugues Tissandier [Lucy, Taken], il montatore Julien Rey [Lucy, Cose nostre – Malavita], il costumista Olivier Bériot [Lucy, Taken] e il supervisore degli effetti speciali visivi, il premio Oscar® Scott Stokdyk [gli Spider-man di Sam Raimi, Il grande e potente Oz, La quinta onda].

«Visivamente è un film mozzafiato – ha dichiarato Cara Delevingne – il pubblico sarà travolto da tutti i personaggi che vede. La quantità di sforzi che sono stati compiuti in ogni singolo aspetto – i costumi, il design, l’arte – hanno dato vita a un film incredibile».

Rispetto ai film precedenti Valerian e la città dei mille pianeti è un progetto molto più personale per Luc Besson, tanto da volerlo dedicare al padre, venuto a mancare durante il periodo di lavorazione: «perché è lui che mi ha dato il fumetto a dieci anni». L’idea di trarre un film dal fumetto Valérian et Laureline è nata fin dai tempi della collaborazione tra il regista e uno dei suoi autori, Jean-Claude Mézières, per la realizzazione del mondo visionario in cui si svolge l’azione de Il quinto elemento.

Per poter ideare le migliaia di specie aliene diverse necessarie per Valerian e la città dei mille pianeti Luc Besson ha iniziato sei anni fa a mandare mail ad artisti in giro per il mondo, senza rendere noto né il titolo del film né di cosa trattasse né, ovviamente, che fosse lui a dirigerlo. «Abbiamo chiesto di mandarci disegni di un alieno, di una nave spaziale e di un mondo. Ci sono arrivate circa seimila proposte, da queste ne abbiamo selezionate venti, sei dei quali hanno lavorato con me personalmente per sviluppare altro materiale. Gli ho dato una lista con descrizioni molto vaghe e poi ho permesso loro di creare in libertà per mesi. Hanno prodotto materiale incredibile, io alla fine ho solo dovuto scegliere i pezzi più adatti per comporre il mio puzzle. Il livello di creatività che ho ottenuto dando loro libertà, non ponendo schemi o confini, è stato semplicemente pazzesco».

Alla fine di queste libere fasi creative, è stato necessario un lento e accurato processo di finalizzazione per adattare tutto il materiale artistico in uno stile unico, quello molto ben caratterizzato e inconfondibile di Luc Besson.«Sarà il percorso più breve ma non è certo il più semplice»

Ispirandosi all’artista di videogame Yoji Shinkawa e al famosissimo disegnatore francese Mobius, l’artista concettuale Ben Mauro [Lucy, The Great Wall] ha basato le sue specie spaziali sulla fisiologia degli animali: «Una volta che hai capito come funziona la biologia, prendi queste leggi fondamentali e le trasformi in qualcosa di completamente diverso. Alcuni alieni del film sono basati su rinoceronti o elefanti. Li studi nel loro ambiente naturale e pensi a come ottenere qualcosa di strano e insolito… mantenendo quel qualcosa che li rende familiari».

In un turbinio di colori, di oggetti futuristici ed elementi disseminati ad arte per favorire il desiderio di una o più visioni successive gli artisti concettuali che hanno lavorato al film hanno creato un fantastico bestiario: dai Doghan Daguis – una rivisitazione deformata di Qui, Quo, Qua – agli organismi acquatici che sembrano disegnati dalle parole di Jules Verne; dai mastodontici bromosauri alle meduse mylea; dal criminale alieno Igon Siruss – che nella versione originale ha la voce di John Goodman [10 Cloverfield Lane, The artist, Kong: Skull Island, Argo, Boston – Caccia all’uomo] – ai freddi e spietati K-Tron.

Le inquadrature sono spesso affollate di creature che si vedono anche solo per un attimo: il Grande Mercato sul pianeta Kirian, che ricorda moltissimo il pianeta Naboo di Star wars; le strade e le architetture della stazione Alpha che citano Blade runner e, di nuovo, Star wars ma la trilogia originaria con un inseguimento all’esterno tra corridoi angusti su navicelle ultraveloci – non vi ricorda qualcosa? Vedere per credere.
Le citazioni cinematografiche di Valerian e la città dei mille pianeti non sono finite qui, ovviamente, trattandosi di un maestro del postmodernismo: senza scendere troppo nella pedanteria da nerd o da otaku, mi limito a segnalare una sala riunioni in cui i sedili sono a forma di monoliti neri di kubrickiana memoria; il saluto che Laureline rivolge al maggiore Gibson è tratto da Plan 9 from Outer Space (del 1959, regia di Edward D. Wood Jr.), un supercult per veri appassionati; uno skyjet monoposto che ricorda la moto di Tron ma viaggia seguendo le “traiettorie” di decoupage del miglior George Lucas, di nuovo; non poteva mancare nemmeno un rimando alle fantasie di Philip K. Dick e quindi ecco gli interni in cui dominano i contrasti scenografici con ambienti naturali in luoghi artificiali come nelle trasposizioni di Total recall e gli esterni notturni pieni di insegne al neon e macchine volanti come in Blade runner.

A buona ragione Rutger Hauer, che interpretava il replicante Roy nel film del 1982, è stato coinvolto nel progetto da Luc Besson per un cameo di prestigio con tanto di monologo di fondamentale importanza per il setting del film, che non diventerà un cult come il celebre «Io ne ho viste cose che voi umani…», ma sa scaldare ad hoc il pubblico con il suo grande carisma.
Molto suggestiva e raffinatissima è poi la citazione di uno dei massimi capolavori del cinema francese degli anni ’30, L’Atalante di Jean Vigo: come Jean, il protagonista di quel classico, si tuffa nel fiume per verificare la credenza secondo cui nell’acqua si vede il volto della persona amata (e così accade grazie ad una delle prime sovraimpressioni della storia), così Laureline può “vedere” per osmosi, attraverso il fluido corporeo di una medusa mylea, dove si trova il partner disperso. Una vera chicca per cinefili!

«Voglio una spiaggia!»

Una menzione particolare, infine, va inserita per un riferimento che va ben oltre il gioco di ammiccamenti al fanatico di fantascienza. Oltre al comune desiderio di pace e tranquillità rappresentato dal sogno di una spiaggia incontaminata da parte dei protagonisti maschili, in Valerian e la città dei mille pianeti sono presenti alcune tematiche che sono già state analizzate dalla mente geniale di Terry Gilliam e rielaborate sottoforma di riflessione visionario-filosofica in The Zero Theorem. La virtualità, prima di tutto, è rappresentata in maniera differente dai due registi ma risulta simile la riflessione sul contrasto tra verità presunta e finzione latente ma, soprattutto, la funzione metacinematografica che assume nel momento in cui lo spettatore viene coinvolto in prima persona con sparatorie da gamer in soggettiva o con la stuzzicante performance di trasformismo mimetico della glampod Bubble, interpretata egregiamente da Rihanna [Battleship, Home]. Questa tentazione erotica virtuale ricorda moltissimo quella operata dalla cyberfatina Bainsley ai danni di Qohen Leth nel film di Gilliam, ma lo spettacolo della cantante, come in un Moulin rouge all’ennesima potenza, calamita l’attenzione e diventa un cult da vedere e rivedere all’infinito… e oltre!

Rihanna firma, così, di diritto il voluminoso guestbook delle protagoniste femminili di Luc Besson, pur avendo un ruolo secondario nella trama di Valerian e la città dei mille pianeti e si va ad inserire in un firmamento di stelle che il regista ha contribuito a trasformare in fenomeni del glamour: Milla Jovovic, Natalie Portman, Scarlet Johansson e, da ultima, l’astro nascente Cara Delevingne, che dalle passerelle dell’alta moda è passata con nonchalance sul grande schermo. Come la Jovovic ne Il quinto elemento, Cara ha il phisique du role per indossare un vestiario da applausi a scena aperta, dei costumi stupendamenti assurdi che ben si abbinano alla sua bellezza sofisticata.

«Hai ragione. È uno schianto!»

La popstar Rihanna non è l’unica ospite estirpata dal panorama musicale mondiale. Ad interpretare il Ministro della Difesa è stato chiamato nientepopodimenoché Herbie Hancock, una leggenda del jazz, che ha saputo dire la sua anche nel fusion, nel funk e nell’elettronica a cui va aggiunto il cantante cinese naturalizzato canadese Kris Wu, un volto conosciuto per il target adolescenziale. La partecipazione di cotante ugole famosissime potrebbe aver contribuito a ben disporre i Beatles superstiti ad accordarsi per l’utilizzo della canzone Because nel trailer ufficiale del film. Una concessione senza precedenti. «Ho scoperto in seguito che Paul McCartney è un grande fan della fantascienza, penso ci sia stato un pizzico di fortuna quindi» ha poi spiegato Besson.

Una curiosità a margine, i cammei di alcuni cineasti francesi, amici del regista, in ruoli di ufficiali dell’esercito di Alpha: sono Louis Letterier de L’incredibile Hulk, Olivier Megaton autore di Taken 2 e Benoît Jacquot di Addio, mia regina. Segno evidente di una produttiva relazione professionale senza invidie, segno di una cinematografia in salute che sa creare ogni anno prodotti di eccellente fattura.

Alla luce di tutto questo, Valerian e la città dei mille pianeti è un film meraviglioso in cui la tecnologia 3D diventa un valore aggiunto che amplifica notevolmente le emozioni. Un’indimenticabile spettacolo che sa risvegliare il bambino interiore che è dentro ognuno di noi. Un fantasmagorico caleidoscopio sognante in perfetta armonia fra avventura spaziale e fiaba ecologico-morale.

«Il tempo vola quando ci si diverte»

10 Cloverfield Lane non è il seguito di Cloverfield!

10 Cloverfield Lane non è il seguito di Cloverfield, bensì il nuovo thriller enigmatico e fantascientifico della Universal Pictures che J. J. Abrams ha descritto come un “parente di sangue” del celebre found footage del 2008. Chi segue il geniale produttore sa che è una sua precisa tecnica di guerrilla marketing il fatto che il film sia ancora avvolto nel mistero. Previsto per l’11 marzo negli Stati Uniti e nelle sale italiane dal 21 aprile, la pellicola segna l’esordio alla regia di Dan Trachtenberg, è scritto da Josh Campbell, Matthew Stuecken, e Damien Chazelle e prevede le star Mary Elizabeth Winstead (La cosa, Scott Pilgrim vs. the World) e il vincitore del Golden Globe® John Goodman nel cast.

Dopo un incidente d’auto, una giovane donna si sveglia in una cantina sotterranea, dove si svolge la maggior parte dell’azione. È stata rapita o, come afferma lui, salvata da un survivalist, preparato da tempo a qualsiasi catastrofe. Nel caso specifico si tratterebbe di un attacco chimico che ha reso inabitabile il mondo. La donna potrà fidarsi oppure decidere di fuggire da lì e affrontare qualunque pericolo si può al di fuori. Cosa sceglierà?

Partito da una sceneggiatura ultra low budget con il titolo The Cellar [ovvero La cantina] si è evoluto per diventare qualcosa di diverso e ben più grande e, per ora, oscuro. Prodotto dalla Bad Robot e dalla Insurge Pictures, divisione della Paramount Pictures, 10 Cloverfield Lane si candida ad essere uno dei thriller più inquietanti della stagione.

Le riprese si sono concluse il 15 dicembre 2014 eppure davvero molto poco è trapelato. Si sa che il film è stato girato principalmente a New Orleans, Louisiana, e che le scene che coinvolgono esplosioni, fuoco, e fumo sono state invece girate a Hahnville.