Berlinale 66 – Indignation, di James Schamus

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New Jersey, anni ’50. La Guerra di Corea ha messo in ginocchio l’America portando via molte giovani vite tra i ragazzi impegnati al fronte, ma chi è rimasto a casa come Marcus Messner combatte sul fronte dell’imminente rivoluzione sessuale, che dichiara guerra ai valori conservatori delle generazioni precedenti. Marcus lavora nella macelleria Kosher di suo padre e segue con poco interesse e infiniti dubbi le funzioni religiose ebraiche insieme ai suoi genitori, ma dentro di sé sa bene che lo aspetta un futuro diverso. Si iscrive alla facoltà di legge del college di Winesbourg in Ohio, a miglia di distanza dalla sua città, nella speranza di trovare un ambiente più aperto e meno condizionato dalla religione.

Ma anche qui si scontra con le regole del campus, che impongono agli studenti di frequentare la cappella del luogo per ottenere buoni voti. Marcus però non più accettare che gli sia imposto un credo religioso, si ribella ferocemente alle regole e proclama al preside e al mondo il suo ateismo, senza vergogna e senza timore di ripercussioni sulla sua carriera universitaria. Nel suo percorso di formazione è determinante l’incontro con Olivia Hutton, la ragazza più bella e spregiudicata del campus, che lo accompagna dolcemente verso la scoperta del suo corpo e della consapevolezza di sé.

Indignation è uno dei romanzi più appassionati di Philip Roth, in cui la frustrazione per le tradizioni conservatrici e il desiderio di ribellione si scontrano fortemente nell’anima del giovane Marcus, in bilico tra un’adolescenza repressa e un’adultità ancora da costruire. James Schamus lo porta sullo schermo in una veste elegante e sofisticata, che restituisce il fascino del romanzo senza incertezze. In Indignation si respirano le contraddizioni degli anni ’50 e la loro intrinseca compostezza formale. Schamus è impeccabile nella sua trasposizione sul grande schermo dell’opera di Roth, e riesce a forgiare un gioiello di un valore pari all’originale.

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