Stonewall, di Roland Emmerich

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Christopher Street nella new York del 1969 è il “ghetto” degli omosessuali della città, che vivono non solo in squallide camere condivise al limite della povertà, ma anche in deliziosi appartamenti borghesi arredati con gusto e con le tende di merletto alle finestre. Denominatore comune di questa realtà è l’orientamento sessuale dei suoi appartenenti. Gay, lesbiche, trans e drag queen condividono i metri di questa strada e quando Danny (Jeremy Irvine) arriva in città, col suo volto pulito e la valigia ben sistemata, mettere piede in questa strada assume, di fatto, il peso di una scelta di vita ai limiti dell’illegalità. Perché così come lui, anche Ray/Ramona (Jonny Beauchamp) e Cong (Vladimir Alexis) e l’impegnato in politica Trevor (Jonathan Rhys Meyers) devono fare i conti con una società che considera l’omosessualità una malattia da curare con l’elettroshock, impedisce ai gay di lavorare nei luoghi pubblici a causa del loro disturbo mentale e li costringe a vivere ai margini della società, dedicandosi alla prostituzione e all’accattonaggio. Cosa c’entra Danny, che viveva in una tranquilla casa di campagna in Indiana, cresciuto dal coach della squadra di Football Americano e da una madre pia e casalinga, con questa realtà? Cosa lo può legare ai moti dello Stonewall scoppiati nel giugno dello stesso anno? Columbia (soprannominato così dal nome della prestigiosa università in cui il giovane viene ammesso) troverà le risposte proprio a Christopher Street. Non soltanto la conferma di un’identità sessuale a lungo repressa e stigmatizzata come innaturale, diabolica e infernale: ciò che Danny assumerà come di fatto è l’importanza dell’etica personale e delle scelte compiute nel corso della vita; del valore dell’integrità e della sincerità; che, quando una cosa è giusta, vale la pena di difenderla a spada tratta. Ciò che Danny scopre, in fondo, è la passione.

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È proprio il regista Roland Emmerich a voler rispondere con la sua pellicola alla domanda esistenziale che affligge Danny. La storia ruota attorno a un dramma intimo, unico e personale, lasciando che le dinamiche sociali e di lotta per l’emancipazione facciano da sfondo, un’eco che amplifica i profondi tormenti interiori ma non assume il ruolo centrale, così come invece il titolo del film lascerebbe intuire. Se sono ravvisabili i toni quasi apocalittici di molte delle pellicole cult del regista (come ad esempio The patriot, Indipendence Day o The day after tomorrow),  queste tuttavia rimangono relegate agli ultimi minuti della pellicola,  e l’attacco violento allo Stonewall, una discoteca frequentata dalla comunità del quartiere, emblema del marcio sistema criminale gravitante attorno all’illegalità dello status di omosessuale (che prevedeva l’inevitabile coinvolgimento della malavita organizzata visto che,  tra le altre cose, ai gay era vietato somministrare alcolici), che ha generato una spirale di virtuosa consapevolezza, rimane relegata come una fase della storia, non il suo nucleo centrale. Sembra che Roland Emmerich si sia allineato alle ultime tendenze dei film sugli omosessuali che, è vero, portano all’attenzione dinamiche sociali e relazionali ignorate dai più, ma che con Carol o Freeheld vedono al centro la dimensione sentimentale della questione non, tanto, quella storica e documentarista dei fatti, così come invece era stato con il magistrale Milk. Nulla da togliere, ovviamente, ai sentimenti, ma Stonewall conferma la tendenza del cinema hollywoodiano di avere una certa paura e, ancora, un sorta di pudore nell’affrontare determiniate tematiche. Siamo lontani, comunqnue, dalla levità di sguardi e sospiri di The danish girl: in Stonewall finalmente i corpi dei giovani e i loro gesti sessualmente carichi trovano spazio. Nulla però viene detto circa la portata sociale dell’evento: non basta affidare ai titoli di coda la spiegazione degli eventi reali e non basta ammiccare alla questione attraverso le parole dei personaggi.

" STONEWALL " Photo by Philippe Bosse

La dimensione artistica della pellicola, dal canto suo, soddisfa pienamente (N.B.: film da vedere assolutamente in lingua originale). Discutibile l’interpretazione di Jonathan Rhys Meyers, poco incisivo e inefficace anche nella sua figura centrale di maturo omosessuale consapevole e volitivo. I giovani, quasi tutti alla loro prima performance cinematografica, risultano invece naturali e spontanei. Da ricordare favorevolmente la performance di Jonny Beauchamp: il suo Ray rimarrà scolpita nella memoria degli spettatori. La sceneggiatura, se letta assumendo che il film non racconti la portata rivoluzionaria delle violenze davanti allo Stonewall, regge bene e dipinge senza sbavature lo spaccato americano entro cui è inserita. Bellissima la colonna sonora (I Say A Little Prayer, Venus, It’s Your Thing), in grado di accentuare la fedeltà della rappresentazione; ben curata la scenografia, ambientata interamente in Canada, tra Montréal e la campagna circostante.

Proprio perché la società cambia solo a partire da dimostrazioni e atti di manifesta violenza, i problemi vissuti dai ragazzi del 1969 non sono poi così diversi da ciò che i giovani omosessuali si trovano a dover affrontare al giorno d’oggi. È vero, il film non prova ad edulcorare la storia per renderla più edulcorata. Eppure ancora forte è la necessità di una sensibilizzazione della società del XXI secolo, se si pensano alle quotidiane forme di discriminazione che esibiscono gli omosessuali, al fatto che negli USA più del 40% dei senzatetto appartenga alla categoria LGBT o che in 77 paesi del mondo l’omosessualità sia ancora reato. Speriamo che anche il cinema hollywoodiano faccia tesoro delle parole che ormai tre anni fa, Obama usò nel suo secondo discorso di insediamento:

«We, the people, declare today that the most evident of truths – that all of us are created equal – is the star that guides us still; just as it guided our forebears through Seneca Falls, and Selma, and Stonewall; just as it guided all those men and women, sung and unsung, who left footprints along this great Mall, to hear a preacher say that we cannot walk alone; to hear a King proclaim that our individual freedom is inextricably bound to the freedom of every soul on Earth».

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